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“Ritorno al futuro”: quando un film non è solo un film

Hanno suscitato molta commozione le immagini provenienti dal Comic Con di New York, manifestazione di fumetti e cultura nella quale si sono riuniti i due protagonisti di uno dei film più celebri degli anni ottanta: “Ritorno al futuro”. Christopher Lloyd, attore di lungo corso, oggi 84enne, che nella pellicola di Bob Zemeckis interpretava il ruolo di Emmett “Doc” Brown, e Michael J. Fox, protagonista principale nelle vesti di Marty McFly.

Fox si è guadagnato, in quel magico decennio, anche per i suoi successi televisivi (il telefilm “Casa Keaton”), lo status di autentica “star”, che “Ritorno al futuro” ha scolpito nella roccia in maniera indelebile, nonostante i gravissimi problemi di salute dell’attore, che ne hanno compromesso la carriera.
All’apice del suo successo (1991), infatti, Fox si ammalò di una rara forma di malattia di Parkinson giovanile, che a partire dalla seconda metà degli anni novanta causò una riduzione degli impegni cinematografici dell’attore, riportandolo in televisione nella serie “Spin City”, poi abbandonata per l’aggravarsi delle sue condizioni.
Fox e Lloyd si sono abbracciati sul palco del Comic Con, in maniera spontanea e sincera; una reunion che a me ha ricordato quella, altrettanto commovente, tra Jerry Lewis e Dean Martin al Telethon Show del 1976.
Le condizioni di Fox, visibilmente peggiorate, hanno colpito ogni appassionato, che non può non commuoversi di fronte ad una amicizia che resiste alle ingiurie del tempo, e al coraggio di un uomo che ha combattuto, e continua a combattere, con grande dignità, una terribile malattia.

Il fatto che gli amanti del cinema siano così indotti a commozione per l’incontro di due persone che in effetti non conoscono davvero ci dice quanto potente possa essere il cinema, quanto possano diventare “reali” certi film, tanto da far diventare i personaggi di certe pellicole parte della nostra memoria sentimentale.
“Ritorno al futuro” non è quello che i critici definiscono un “capolavoro”, e in effetti, all’epoca della sua distribuzione nelle sale, nonostante il successo interplanetario, furono in pochi ad apprezzarne appieno le qualità artistiche. Quella di Zemeckis fu però una delle pellicole che catturarono meglio lo spirito degli anni ottanta, e che interpretarono in maniera più efficace e creativa la voglia di rinnovamento cinematografico che aleggiava tra i registi più giovani di quel periodo: un film talmente ben congegnato, così pieno di brio e inventiva, così ben scritto e ben interpretato da abbattere ogni pregiudizio critico, anche quello dei giornalisti più miopi.
E in effetti ci riuscì, nel tempo, diventando successo interplanetario e insieme film di culto.  Guadagnando, anche grazie ai due seguiti, un affetto del pubblico sempre crescente, corroborato da ogni messa in onda televisiva del film, in ogni parte del mondo.
Sono passati 37 anni dalla prima distribuzione nelle sale, ma sembrano volati in un istante, come se tutti gli spettatori fossero saliti sulla DeLorean, l’inusuale macchina del tempo utilizzata nel film; sono passati 37 anni, ed è come se Marty e Doc fossero diventati davvero nostri amici.
Non succede sempre, non succede per tutti i film.
Ma quando succede, quel film smette di essere solo un film, diventando una parte, piccola o grande, della nostra memoria, dei nostri ricordi, della nostra vita.
E’ per questo che ci siamo commossi vedendo Marty e Doc riabbracciarsi, perché “Ritorno al futuro” non è solo un film.

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Ivano Di Puglia, 49 anni, ingegnere edile e libero professionista. Appassionato di cinema sin da bambino, dello sport in generale e del tennis in particolare, amante dell'arte, della letteratura (anche quella a fumetti), della poesia. Ha collaborato, per un breve periodo, alla fanzine cinematografica "The Ed Wooder".
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