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Federer e Nadal : una rivalità  diventata amicizia

Il ritiro di un campione è sempre un momento molto triste: è un rito di passaggio malinconico,che chiude una fase della vita per aprirne un’altra.
Nel caso di Roger Federer, il tennista svizzero amatissimo in tutto il mondo, questo discorso è doppiamente valido, perché l’ex numero uno ha iniziato a giocare con Sampras e Agassi, e ha chiuso il sipario annotando la prima posizione mondiale di  Carlitos Alcaraz, nato quando Sampras aveva già giocato la sua ultima partita.
Federer è diventato un “immortale” del tennis già in vita (parlo di vita sportiva, naturalmente): le sue qualità tecniche sono state lodate a più riprese, così come quelle umane. Credo sia importante, tuttavia, sottolineare come in molti confondano lo “stile” di un tennista, che consiste nella sua maniera di colpire la palla e muoversi in campo (e dunque, semplificando un po’, nella sua “eleganza”) , con la “classe”, che invece è tutt’altra cosa: è la capacità di giocare bene le partite importanti, i punti importanti. Il tennis è, soprattutto, uno sport di testa, in cui la forza mentale è il requisito fondamentale, prima ancora di quello tecnico e di quello fisico, e Federer è stato grande soprattutto in questo aspetto del gioco.
L’ultima partita dello svizzero, una gara di doppio nell’ambito della Laver Cup, assieme all’amico-rivale Rafael Nadal,è stata seguita da una meritata celebrazione, condita da abbracci e commozione. E, se è del tutto normale che un campione abbia il volto rigato dalle lacrime nel giorno del suo addio allo sport,  mi è sembrato meno usuale la commozione di quello che dovrebbe essere il suo grande rivale, anche lui commosso  e piangente, in una maniera forse esagerata, forse un po’ infantile.
Vedendo quelle immagini mi sono chiesto, ad un certo punto, se quella tra Rafa e Roger sia stata una rivalità vera. Ed è stato sin troppo naturale ripensare alle grandi sfide del passato: a Connors che schiumava di rabbia contro Borg, e che avrebbe dato un dito del piede pur di batterlo a Wimbledon; a McEnroe che accusava Lendl di avere meno talento di una sola delle sue dita, per poi essere battuto in tre soli set, a New York, in una finale nella quale il ceco ebbe un lanciafiamme al posto della racchetta; a Sampras e Agassi, e al loro eterno duello, fatto di sfide indimenticabili e di una amicizia mai sbocciata. Questi immortali (ne ho citati solo alcuni) non si sarebbero mai presi per mano, e avrebbero avuto un atteggiamento diverso, perché divisi da un odio sportivo senza il quale una rivalità avvizzisce.
Non è un caso che i tifosi di Federer e Nadal abbiano indirizzato, nel tempo, il loro risentimento verso Nole Djokovic (altro immortale), il Grande Disturbatore di quella che, di fatto, non è stata più una vera rivalità, ma una sincera amicizia tra due grandi atleti.

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Ivano Di Puglia, 49 anni, ingegnere edile e libero professionista. Appassionato di cinema sin da bambino, dello sport in generale e del tennis in particolare, amante dell'arte, della letteratura (anche quella a fumetti), della poesia. Ha collaborato, per un breve periodo, alla fanzine cinematografica "The Ed Wooder".
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