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La vera piaga delle urne si chiama astensionismo

A seguito del voto, abbiamo avuto l’affluenza più bassa della storia: 63%

Finalmente ci siamo lasciati alle spalle una delle peggiori campagne elettorali mai viste, improvvisata sotto gli ombrelloni e piena di paure e sconforti provocati da un’imminente guerra mondiale e un periodo post pandemia che ha lasciato tante, tantissime ferite nascoste a ciascuno di noi. Le urne hanno attribuito la vittoria al partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, con il 26%. Ma il vero protagonista è stata l’astensione dal voto dei cittadini italiani che per la prima volta si è attestata al 63%, mai così bassa nella storia repubblicana per delle elezioni politiche. Un dato in qualsivoglia modo preoccupante oltre che colmo di proteste silenziose. Ma vedremo perché non sarà la soluzione.

Un po’ di dati

Anzitutto, per inquadrare il problema, è bene considerare tre diverse fasi che caratterizzano il fenomeno dell’astensionismo in Italia. Queste tre fasi, per altro, corrono parallelamente alle varie stagioni della politica italiana, ovvero dal secondo dopoguerra, identificabile con la “Prima Repubblica”, a circa metà degli anni 70/80, con un breve periodo di stacco che segna l’inizio della “Seconda Repubblica” (dopo l’avvento di Tangentopoli) e, infine, ad un periodo che corrisponde a quella che molti studiosi chiamano “Terza Repubblica”, ovvero i nostri giorni. Inoltre, è fondamentale analizzare anche il cambiamento dell’assetto partitico che indirizza l’elettore e la frammentarietà del voto.

Il periodo del secondo dopoguerra è stato caratterizzato da un’alta affluenza di voto: il cambio di marcia dopo un ventennio di dittatura fascista era d’obbligo. Solo l’11% dei cittadini non andò a votare per l’elezione dell’Assemblea Costituente, toccando così uno dei più alti dati di partecipazione elettorale del nostro paese.

Di anno in anno, elezione dopo elezioni, si cominciò a perdere qualche punto percentuale di affluenza: dalle politiche del 1983, che videro circa 9 italiani su 10 andare alle urne, si passa, 35 anni dopo, al 73%. Un dato senza ombra di dubbio preoccupante, nonché deleterio per le democrazie moderne

Le cause

Le cause dell’astensionismo sono diverse, da analizzare in parallelo agli eventi storici.

La forte partecipazione della prima fase è da ricercare:

– Nella maggiore fiducia politica, dopo un periodo di guerra e d’oppressione nel ventennio fascista;

– Una chiara definizione del sistema politico, oltre che degli attori politici;

– Opinione comune che vedeva il voto come un obbligo giuridico (N.B: l’Articolo 48 della Costituzione che definisce gli elettori ed il voto, specifica che esso è un “dovere civico” portando il cittadino a pensare che esso fosse, effettivamente, un obbligo).

La crescente astensione dal voto nella seconda fase è da ricercare:

– Nei continui cambi di leggi elettorali che non consentono la vittoria di una singola compagine partitica bensì una coalizione;

– Eccessiva frammentazione del voto;

– Un crescente disinteresse per la cosa pubblica e disaffezione per la politica;

– Un’astensione di tipo “punitivo” (riguardo una possibile delusione dell’elettore nei confronti del partito che aveva votato nelle precedenti elezioni);

– Tipologia d’elezione (le elezioni amministrative ed europee assumono un peso minore se paragonate a quelle politiche, dove la campagna elettorale è massiccia e il cittadino è più interessato a votare);

– Astensionismo per protesta;

E i fuorisede?

Un altro, grande, grosso problema è rappresentato dall’impossibilità per gli studenti e lavoratori fuorisede di votare nella città in cui risiedono (o nelle quali si trovano temporaneamente). Pensiamo ad uno studente universitario, che si trova in una città diversa da quella di residenza: non gli sarà permesso di votare e sarà costretto, dunque, a recarsi nella sua città e nel suo collegio. Negli ultimi tempi tante sono state le proposte politiche per abbattere questo limite; inoltre, diverse realtà di centrosinistra, fra cui la giovanile del Partito Democratico, per la quale ricopro un ruolo nella segreteria provinciale di Catania, ha promosso l’iniziativa “Voto dove vivo” proprio per abbattere quello che è un ostacolo all’esercizio di un diritto.

E’ la soluzione per esprimere il proprio dissenso?

Chiaramente, bisogna fare un distinguo: scheda bianca o astensione? Molti scelgono la seconda, altri, la prima. In realtà, il mio consiglio, nonché forte raccomandazione, è quello di andare sempre a votare. Il risultato che si ottiene non segnando un partito nella propria scheda elettorale è esattamente opposto a quello che si pensa: minore è l’affluenza, maggiore è la possibilità che vinca il partito “maggioritario”. Si legittima, quindi, il vincitore a governare e l’opposizione che si è provata a fare al momento del (non) voto, non la si potrà fare in seguito. È proprio la legittimazione, il problema. L’astenersi dal voto non rappresenta una vera e propria forma di protesta, dal momento che al pari nostro, qualcuno, comunque, andrà a votare.

Chi pensa che il vero nemico non sia l’astensionismo, si sbaglia: la democrazia si fonda sul voto, sulla pluralità di espressione e, non ultima, sull’esercizio di un diritto che tanto è stato sognato dai nostri antenati e tanto è stato fatto per difenderlo. Se si vogliono cambiare le cose, il voto è l’unico modo per farlo. Certo, sicuramente questa mia opinione andrà in contrasto con il mio precedente articolo che invita a non votare “il meno peggio”, ma l’unico vantaggio che la politica italiana dona è quello di essere plurale. Ci sono tanti (troppi) partiti che rappresentano i più e le più minuziose minoranze o ideologie. Votare un partito del 2% non è un voto perso, ma un modo per dare legittimazione a quel partito di poterci rappresentare. La nostra democrazia, d’altronde, funziona proprio così. Non votare vuol dire solamente non volersi prendere una grande responsabilità.

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Mi chiamo Manuel De Maria, ho vent’anni e sono uno studente all’Università di Catania presso il dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. La passione per il giornalismo comincia dagli anni del liceo, periodo in cui cominciai a scrivere per il giornale della scuola e, successivamente, per un progetto portato avanti dalla sezione "Scuola" del quotidiano nazionale "La Repubblica" di cui sono stato anche vincitore di un premio. Inoltre, la mia passione per la politica mi ha permesso di vedere il giornalismo con più pragmaticità e certamente con maggiore attenzione e dedizione, dandomi anche una spinta in più per impegnarmi al massimo anche a livello territoriale. Da qualche anno scrivo in proprio per il mio blog e adesso sono molto felice di poter fare parte della redazione della "Clessidra 2021"!
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