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Ei fu. Le cronache di un PD che non è più “dalla parte delle persone”

Nelle elezioni tenutesi il 25 settembre scorso il risultato è stato schiacciante. Passa la Meloni

Alla fine il risultato è chiaro: Fratelli d’Italia è il primo partito in Italia, superando il Partito Democratico, seconda compagine, di circa 7 punti percentuali che valgono 2.000.000 di elettori. La coalizione di centrosinistra viene staccata di 17 punti percentuali, complice anche il risultato del M5S il cui partito vale circa il 15%. Premessa d’obbligo, seppur noiosa, riepilogare questi numeri ci serve bene a capire come si andrà a comporre il nuovo Parlamento che viene ridisegnato dopo il taglio dei parlamentari. Ma non è questo ciò di cui dobbiamo parlare oggi. La sconfitta della sinistra segna un nuovo anno zero (l’ennesimo) all’interno del Partito Democratico che oggi si ritrova ad essere il nuovo Partito Socialista francese attanagliato, cioè, da una parte dalla sinistra radicale di Mélenchon (il Movimento 5 Stelle) e dall’altra dal partito di Emmanuel Macron (il Terzo Polo di Calenda e Renzi). La riflessione è d’obbligo è arriva ancor prima che il segretario Enrico Letta annunciasse, con senso di responsabilità, che non sarà lui il prossimo candidato segretario nell’imminente congresso che in condizioni normali si sarebbe dovuto svolgere nella Primavera dell’anno prossimo ma che, nell’emergenza di un’emorragia elettorale che ha solo sfiorato la peggior débâcle dopo quella del 2018 a guida Renzi (18% contro il 19%), richiede un profondo senso di rinnovamento della classe dirigente oltre che la ripartenza dai circoli. Si parla già di nomi, sucessori e probabili programmi futuri e, sebbene siano sicuramente una parte fondamentale del rinnovamento, non possono essere il fulcro centrale, specie se al centro di questo frullato di candidati compaiono quelli della vecchia scuola “Democrazia Cristiana”.

Fallimento annunciato?

Ma da dove proviene il fallimento del Partito Democratico? Partiamo da lontano: Nelle europee del 2014 il Partito Democratico raggiunse il 40%, per poi sprofondare nel 2018 con un deludente 18%. Da quel momento il partito ha perso un’identità precisa, sia perché l’elettorato di sinistra si è trovato disorientato di fronte ad una forza che, dovendosi definire di sinistra, agiva come se fosse un partito di centro, sia perché la continua successione dei segretari nel corso degli anni (dieci in quattordici anni di partito) ha destabilizzato la linea politica da seguire, specie se influenzata da correnti che hanno pesi e contrappesi specifici all’interno della famiglia democratica. L’approdo di Letta nel 2021 prova a scardinare le vecchie problematiche evidenziate da Zingaretti (quella delle correnti, appunto) e prova a definire a assottigliare delle difficoltà nelle quali il partito si ritrova da anni. L’appoggio al Governo Draghi ha definito responsabilità e doveri verso il Paese ma, soprattutto, verso l’UE e la storia del PD. Da quel momento il declino della squadra democratica ha visto i più incredibili salti nel vuoto: lo strappo dei 5Stelle al Governo Draghi e conseguente rifiuto di alleanza, la (non) coalizione con Carlo Calenda nell’auspicato campo largo (che chiamerei “campo santo“) che non ha funzionato e, infine, una totale chiusura tra i progressisti e il Movimento che ha decretato la sconfitta in queste elezioni a causa anche, c’è da dirlo, di una legge elettorale, il Rosatellum, che andava cambiata da molto tempo ma che nessun partito ha avuto il coraggio, l’ambizione o semplicemente la competenza di far tramontare.

Il leader dem nella conferenza post elezioni

C’è stato un problema, sì, ma dove?

E’ comprensibile che la campagna elettorale, cominciata sotto gli ombrelloni, abbia scombussolato tutti i leader di partito. Non era mai accaduto nella storia repubblicana che si andasse ad elezioni in autunno e prima di una legge di bilancio che se non viene consegnata per tempo potrebbe portarci ad un esercizio provvisorio. Però, diciamolo: il PD ha fatto la campagna elettorale peggiore tra i partiti, senza una particolare enfasi né convinzione di poter portare a casa la vittoria. Il problema non è, però, tanto il modo in cui la campagna elettorale è stata condotta (i temi c’erano e anche importanti), quanto il perno su cui si è puntato: non il programma in sé ma l’attacco all’avversario (ne ho parlato qui). E non c’è neanche bisogno di andare troppo a scavare nei tecnicismi perché basta analizzare il manifesto principale (di cui Letta ha anche condiviso un meme) per capire di cosa parlo (in basso trovate l’immagine).

Gli slogan “aut aut” di Letta

Questa polarizzazione, che nell’immaginario di Letta puntava a far emergere il cosiddetto “voto utile” ha in realtà portato ad un reindirizzamento dell’elettorato verso altri lidi (in primis Movimento 5 Stelle ma anche Sinistra Italiana e +Europa) che in taluni casi ha sì portato voti alla coalizione di centrosinistra ma li ha sottratti al PD nella parte proporzionale. Una campagna elettorale incentrata su ciò che “non deve essere” piuttosto su ciò che “noi possiamo essere” ha portato un sonoro abbassamento della valutazione nei sondaggi nelle settimane antecedenti al voto con corrispettivo incremento del Movimento 5 Stelle: l’elettorato di sinistra, d’altronde, non potendosi spostare verso altri poli, ha optato per il partito di Conte che nell’ultima settimana di campagna elettorale ha incrementato il proprio consenso, specie al sud.

Una questione territoriale?

L’aumento dei consensi del M5S si è verificato soprattutto nel sud dove Conte ha saputo far leva sul suo perno principale, il Reddito di Cittadinanza, su cui si è contrapposta la ferma opposizione della Meloni che ha, infatti, ricevuto più consensi al Nord: risultato? Il PD risulta scomparso in quasi tutta Italia, perdendo seggi in regioni roccaforte come la Toscana e strappando seggi fino all’ultimo voto nel resto del paese. E’ adesso che dobbiamo porci una domanda: se questo vantaggio che 5S e FdI sono riusciti ad accumulare nelle varie zone d’Italia, perché il PD non ha saputo prendere (o riprendere) quella parte d’elettorato che, storicamente, è sempre stato di sinistra? La risposta è semplice e risiede nel modo di fare politica del PD negli ultimi anni, anzi, nell’ultimo decennio. Un partito ancorato al Governo da 10 anni, tranne qualche rara eccezione, che ha dimenticato cosa vuol dire fare opposizione (e una buona opposizione di 5 anni, oltre a poter dare nuova linfa, permettere di sviluppare un’identità comune e di farla riflettere dal partito ai militanti) e che, sostanzialmente, ha avuto modo e occasione di cambiare davvero le cose (ma lo ha fatto nella maniera sbagliata) ma che non ha saputo indirizzare il proprio pensiero verso un progetto al medio-lungo termine. Le questioni più importanti, diritti e ambiente in primis, non possono essere affrontate nell’arco di due mesi senza programmazione e con un paese già orientato (in un prossimo articolo analizzeremo anche il cosiddeto voto di protesta che ha caratterizzato la destra e i 5S) e politicamente schierato. Ciò che il PD non ha saputo costruire nel corso degli anni è una forte identità comune e senso di appartenenza ad una sinistra che non esiste più o che si è fatta depredare i principali temi (connessi al principale elettorato) dalla destra estremita o dalla sinistra radicale dei 5Stelle.

Chi vota PD?

L’immagine che potete recuperare nella slideshow in cima all’articolo mostra le percentuali di elettori che hanno scelto un partito piuttosto che un altro in base a delle fasce socio-economiche-lavorative. Il centrosinistra è avanti in pochissimi gruppi (parliamo della fascia 18-34 anni, dove vi è un sostanziale pareggio, quella dei laureati dove il centrosinistra è avanti di qualche punto e, in larghissima parte, in quella degli studenti). Diciamo che è un risultato comprensibile e, seppur sconfitto, il PD dovrebbe fare di queste fasce sociali il motore da cui ripartire. I dati più sconcertanti sono quelli che riguardano i ceti medi, medio-bassi e bassi che vedono delle nettissime sconfitte del csx e, ancora, quella di lavoratori quali operai e affini che votano per il 56.5% il cdx. Il Partito Democratico che mira ad essere il partito del lavoro e dei giovani, dunque, non può puntare a questi magri risultati dal momento che larga parte del fallimento proviene dalla mancanza di attenzione sociale nelle zone periferiche o di piccoli centri. Il Partito Democratico non può e non deve continuare ad essere il partito dell’establishment, lontano dai problemi della gente o incapace di risolvere i problemi popolari ed è finito per non essere più la stella polare di una sinistra che oggi si mostra sempre più per quella che è: un polo centrista che non riesce a portare avanti i valori socialdemocratici dei partiti socialisti europei ma che si ritrova ad essere sempre di più congelato fra estremisti di destra e radicali di sinistra.

A breve ci sarà il congresso straordinario del Partito Democratico che, presumibilmente, sarà anticipato a gennaio. L’unico nome che può risollevare il PD è quello di Elly Schlein, ex europarlamentare che si è defilata dalle liste del partito a seguito del Jobs Act di Renzi. Forse è l’occasione per far fuori quell’area controllata dai vari Franceschini e Bonaccini di turno e che tallonano un PD in piena crisi politica e che, a differenza di quello che dice il suo slogan, non è più dalla parte delle persone.

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Mi chiamo Manuel De Maria, ho vent’anni e sono uno studente all’Università di Catania presso il dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. La passione per il giornalismo comincia dagli anni del liceo, periodo in cui cominciai a scrivere per il giornale della scuola e, successivamente, per un progetto portato avanti dalla sezione "Scuola" del quotidiano nazionale "La Repubblica" di cui sono stato anche vincitore di un premio. Inoltre, la mia passione per la politica mi ha permesso di vedere il giornalismo con più pragmaticità e certamente con maggiore attenzione e dedizione, dandomi anche una spinta in più per impegnarmi al massimo anche a livello territoriale. Da qualche anno scrivo in proprio per il mio blog e adesso sono molto felice di poter fare parte della redazione della "Clessidra 2021"!
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