Loading
Nuovo quotidiano d'opinione e cultura
Il tempo: la ricchezza per l’umanità
Nuovo quotidiano d’opinione e cultura

Recensione del libro di Luigi La Rosa “Nel furor delle tempeste. Breve vita di Vincenzo Bellini.” Edizioni Piemme

Dicono che il luogo dove si muore sia sacro, più di quello dove si nasce.
Da una tomba vuota al Père-Lascaise-i resti mortali di Vincenzo Bellini, compositore catanese, morto a Parigi, nel fiore degli anni, furono traslati e ora sono custoditi tra i marmi del Duomo di Catania, sotto l’ ala protettiva della Santuzza, a cui una bellissima giovinetta, Agata, la madre, lo votò sin dai primi vagiti-lo spirito del divino ragazzo aleggia ancora tra le tombe di altri grandi. “Da quella religiosa pace un Nume parla” .
Suoi vicini nel cimitero monumentale parigino furono Chopin che adorava Vincenzo e la sua musica, e Cherubini legato al musicista catanese da forti sensi di ammirazione e d’affetto. Vincenzo Bellini di per sé è un personaggio di romanzo. Nel suo precoce straordinario talento musicale, nella sua rara bellezza, nell’eleganza dei modi, nella grazia malinconica dei gesti, nella celeste intensità dello sguardo, in quella sua inquietudine mai pacificata portava il marchio di una diversità senza riscontri.
Ma l’abisso della sua anima in cui egli stesso si perdeva, solo Francesco Florimo, il compagno di studi del Real  Collegio di Napoli, l’ amico fedele e devoto di una vita, sapeva quanto potesse essere profondo e limaccioso. Perciò in quell’ abisso, uomo saggio e prudente, Florimo, nonostante l’ l’intimità che li legava, non  osò mai gettare uno sguardo. Lo scrittore Luigi La Rosa, messinese di nascita, francese d’elezione,  proprio da quel baratro è stato attratto, per le corrispondenze elettive che legano gli animi affini ben oltre i secoli che li separano, al di là di ogni limite di impossibili incontri.
C’è un fil rouge che percorre tutte le opere di Luigi La Rosa-dalle sue storie parigine di poeti,  pensatori, scrittori, compositori, di artisti, veri e mancati, deracinè senza altra patria che la loro arte, i quali affluivano a La Ville-Lumière, con un carico di illusioni perdute, di generosi impossibili sogni di gloria, di cupe disperazioni, come i suicidi alle torbide acque della Senna-fino alla “Breve vita di Vincenzo Bellini”. Il filo che unisce queste vite passa per la dolente consapevolezza dell’impossibilità di conciliare vita e arte.
Di vivere senza dolorose lacerazioni la duplice dimensione esistenziale e creativa, senza dover sacrificare l’ una all’ altra.
Senza dover alimentare la propria ispirazione dei  personali vissuti, specie i più intimi e  sofferti,  e viceversa, senza  dover impoverire e prosciugare la vena creativa nell’insignificanza del vivere quotidiano.
Ma il Maestrino del conservatorio di Napoli, che già a dieci anni componeva musica, e dava lezioni di clavicembalo ai rampolli della nobiltà catanese,   precocemente cosciente del demone che lo possedeva,  non esitò ad oltrepassare la linea d’ ombra che separa l’ immortalità della musica dalla brevità della vita, e dal suo effimero passare.
Nella musica riversò tutto se stesso. L’ accesa sensibilità, l’emotività senza freni, le infatuazioni e gli innamoramento estremi, gli ardori e gli slanci generosi, ma pure le ritrosie, le durezze e le asperità del carattere, le cupezze improvvise, gli abbandoni senza tutele alle passioni più devastanti.
Dei suoi amori-quello infelice e  mai vissuto  per Maddalena Fumaroli, che finì col diventare un caro fantasma delle sue romantiche fantasticherie, o l’ altro, pienamente vissuto, ma inappagante, per Giuditta Cantù, o l’ ultimo non corrisposto, perciò più tormentoso, per la cantante Maria Malibran, sua musa ispiratrice-solo uno, quello per la  musica, non ebbe rivali.
Alla musica il biondo giovinetto si consegnò  senza difese, pur sapendo che essa  esigeva una fedeltà senza cedimenti, una dedizione totale.
La musica si nutriva della sua linfa vitale  come “le vene si nutrono del sangue”. Così Antonia Pozzi, altissima voce poetica morta suicida a 26 anni parla della poesia. Un topos del genio precoce è la morte in giovane età-muore giovane chi è caro agli dei. Vincenzo era dunque un predestinato.

E ne era oscuramente consapevole. Lo stesso presentimento affliggeva Agata; con la chiaroveggenza di una madre riconosceva nella salute malferma del suo primogenito, nella precoce perniciosa
inclinazione a una irragionevole tristezza i segni premonitori di una tragica sorte.
La medesima che fu di Modigliani, di Rimbaud, di Van Gogh, di tanti  infelici artisti risucchiati nei gorghi di una genialità incontrollabile, indomabile. Un altro filo rosso lega la  “Breve vita” del compositore catanese alle vicende dei personaggi che popolano  le guide sentimentali su Parigi dello scrittore messinese; la passione amorosa in tutte le sue declinazioni e nella sua fatalità: l’ amore come destino e fedeltà a un destino. Un discorso amoroso che inizia con il viaggio dell’ autore a Parigi.
Luogo dello spirito dove s’ incrociano vissuti personali di universale valenza: il desiderio che rode l’anima,  la morte, la malattia, tratto distintivo d’ elezione, come in Thomas Mann, inevitabile  sbocco di un
dissidio insanabile tra le accensioni della mente, e i limiti della propria fisicità. Ma questo  Vincenzo Bellini, fratello gemello degli angeli caduti che popolano l” universo ideale e letterario di Lugi la Rosa, nella sua cagionevolezza; le febbri ricorrenti, le crisi di pianto, gli attacchi di rabbia, il mutismo in cui per giorni sprofondava porta  le stimmate di una modernità che non è romantica, ma novecentesca.
Una modernità di oceani di silenzio. Questo Bellini che turba, sconvolge , provoca  scandalizza, annienta
il suo pubblico, con le  originali, audaci, innovative, trasgressive composizioni musicali, è un eroe del nostro tempo.
La sua irrimediabile solitudine di artista tra non artisti,  la chiusura interiore che nessun amore, neanche il più ardente riesce a scalfire, l’insoddisfazione, il disgusto anche di sé, il senso di vanità, del nulla che lo afferra alla gola nei momenti di gloria, nel tourbillon delle feste, degli applausi, delle pubbliche acclamazioni, dei trionfi, e delle invidie e maldicenze, gli scavano attorno un fossato invalicabile anche dagli affetti più cari. Nell’ averci restituito la fragilità umana  di un uomo fuori del comune,  un genio la cui forza è anche la sua debolezza  sta il grande merito del nostro scrittore. La breve  vita del Cigno non vuole essere una biografia, ma la storia di un’ anima e di una dedizione assoluta: alla musica e alle sue ragioni sino al sacrificio di sé. Quando tracimando nella sua quotidianità, essa fa terra bruciata di ogni pulsione vitale e da ragione di vita finisce col diventare destino di morte.
Se l’ ambientazione del romanzo, puntualmente, fedelmente ricostruita in ogni dettaglio, è rigorosamente ottocentesca, l’ impianto narrativo risulta sorprendentemente moderno, per la suspense, i colpi di scena le atmosfere visionarie, le improvvise rivelazioni,  il finale a sorpresa in cui  gli agitati demoni del compositore e del suo autore si placano in una catartica lost station. Leonardo Sciascia diceva che il romanzo, a prescindere dalla tipologia, è un genere letterario che riproduce  gli schemi del noir.
Perché  lo scrittore è un investigatore: scava nel sottosuolo dell’ io, per trarne fuori la materia inerte dei fatti  e dare un qualche ordine al caos  al groviglio delle emozioni.
Anche il poeta Giorgio Caproni usa la metafora del minatore per descrivere l’atto poetico. La prosa e lo stile del romanzo, pur nell’ ampiezza di respiro dei classici- e classici sono quegli autori, anche moderni, che hanno attraversato indenni il loro tempo, senza perdere in attualità- hanno un andamento verticale  dal basso verso l’ alto.
La scrittura mantiene dall’ inizio alla fine  un ritmo    serrato, incalzante, una tensione lirica che non consente divagazioni e cedimenti al superfluo, neppure nelle parti descrittive, che nella
ricchezza dei particolari, nella meticolosità dei dettagli sprigionano un inequivocabile sentore proustiano.

Share Article
Anna Vasta è nata a Catania. Vive a Riposto. Ha pubblicato: Confutazione delle religioni De Martinis & C, Catania,1993. Per la poesia: La Curva del cielo (Amadeus Editore, Soligo,1999); I Malnati (I Quaderni del Battello Ebbro Editore, Porretta Terme, 2004); Quaresimale (Prova d' Autore, Catania, 2006); Sposa del vento (Prova d'Autore, Catania 2008); Di un fantasma e di mari (Prova d'autore, Catania 2011); Cieli violati (Edizioni Ensemble, Roma, 2013). Per la saggistica: La prova del bianco(Aforismi). Edizioni Le farfalle,Valverde, 2015.
TOP