Intervista a Marilina Giaquinta, “poetazza” di talento

Marilina Giaquinta ama definirsi una “poetazza” e si nota subito conoscendola qualcosa di dissacrante nella sua personalità artistica che incuriosisce e intriga. Giaquinta è un fenomeno letterario siciliano di questi anni grami per la poesia e con un passato di attività professionale conclusa con il grado di Dirigente Superiore e prima ancora, per tanti anni, comeDirigente della Polizia di Stato. Erroneamente qualcuno potrebbe pensare ad una donna seriosa, tutta diun pezzo e, invece, ci si trova davanti una donna affascinante e sensibile che ha avuto il coraggio di volare sulle ali della pura fantasia, dell’immaginazione folgorante, della favolosa poesia. Nonostante il lavoro delicato e impegnativo, non solo burocratico ma investigativo e operativo per avere diretto delicati servizi di ordine pubblico, è riuscita a conciliare la sua professione con i doveri familiari: infatti, è madre di tre figli. Il suo curriculum è di tutto rispetto:laureata in Giurisprudenza e in Scienze della Pubblica Amministrazione, dopo la laurea ha collaborato,come borsista, con il professore Massimo D’Antona, allora titolare della cattedra di Diritto del Lavoro. Superato il concorso per Commissario, si è occupata per più di venti anni, di immigrazione, dirigendo i servizi degli sbarchi lunghe le coste etnee (tra questi, i 918 curdi della nave “Monica”) e dirigendo, da ultimo, i servizi disposti in occasione dell’arrivo al Porto di Catania delle navi con a bordo gli immigrati salvati da naufragio al largo delle coste libiche. Ha tenuto corsi e conferenze in materia di immigrazione,anche in sedi universitarie. Per meriti di servizio le è stata conferita dapprima l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica e poi di Ufficiale della Repubblica ed è stata altresì insignita del Premio Livatino. Ha partecipato al progetto della Fondazione Treccani, tenendo laboratori di poesia per i ragazzi dell’Istituto Penale per Minorenni di Acireale.
Pur essendo la scrittura una passione risalente, ha cominciato a pubblicare solo nel 2014, esordendo con una raccolta di poesie. Da allora, ha pubblicato sei libri, tre raccolte di poesia, due di racconti (l’ultima delle quali, “Malanotte”, è stata tradotta in Germania ed è apparsa nella classifica di qualità de “La Lettura” del Corriere della Sera) e un romanzo. Ha partecipato a diverse antologie con poesie e con racconti. Ha collaborato con il magazine del quotidiano La Sicilia, tenendo rubriche di racconti, e ha condotto programmi radiofonici sulla poesia e la letteratura. Sue poesie sono state pubblicate sulle riviste “Dedalus”, “Achab”, “Frequenze Poetiche”, “il Verri”, “L’immaginazione” e nella rubrica “La bottega della poesia” del quotidiano “la Repubblica”. Nel corso degli anni è stata invitata a interpretare performance poetiche in giro per l’Italia, accompagnata da musicisti jazz.
Annovera diverse pubblicazioni su riviste letterarie e tiene una rubrica di recensioni dal titolo “Salti quantici” sulla rivista “L’Estroverso”.
Nel 2020 ha vinto il premio Anna Maria Ortese per la poesia inedita.
Nel 2021 ha vinto: il premio Vittoria Aganoor Pompilj nell’ambito del Festival delle Corrispondenze; il premio Nabokov per la poesia edita;il premio Antica Pyrgos per la poesia inedita; il premio “Città di Sarzana” per la poesia inedita e per il romanzo edito.
Si è classificata terza al premio Sygla ed è stata finalista per la poesia inedita al premio Zeno.
Mentre nel 2022 si è classificata seconda al Premio Città di Siena per la silloge inedita; ha ricevuto il premio speciale della giuria al Premio Samnium; ha ricevuto la menzione d’onore della giuria al Premio Napoli Cultural Classic per il monologo teatrale.
E ancora si è classificata seconda al Premio Xenia Book Fair per la silloge inedita e si è classificata quinta al Premio TreColori-InventaUnFilm per il racconto breve. Mentre in atto è stata selezionata per la raccolta edita al Premio Bologna in Lettere.
Ha fatto parte della giuria del premio “Ercole Patti”, del premio Jacopo da Lentini, del premio Qulture per la poesia e del premio “Sygla” per la poesia.
Fa parte del comitato organizzativo e della giuria del Premio Nazionale Elio Pagliarani.
A prima vista la “poetazza” sembra dotata di indole ironica , di umore allegro e di pensieri arguti apparendo sincera e spontanea nei dialoghi e nelle conversazioni che avvengono senza filtri e senza ipocrisie. Ecco il testo dell’intervista.
Quando ha avvertito nelle vene il fuoco sacro della poesia ?
Ho un ricordo lontano: la maestra ci aveva assegnato come compito per casa di scrivere una poesia e il giorno dopo lesse la mia in classe. Ricordo di essermi vergognata tantissimo. La poesia è una forma di scrittura che ti svela e ti rivela, ti mette a nudo, ti fa conoscere nella tua essenza. Forse già allora ne ero consapevole.
Oggi la poesia non gode di diffusione, pochi i libri di poeti contemporanei venduti anche se tutti si emozionano quando leggono versi.
Il discorso è molto complesso. Dico solo questo: compariamo gli scaffali che le librerie dedicano ai gialli e quelli dedicati alla poesia. C’è un abisso. La proposta poetica è davvero misera ed è costituita quasi sempre dai classici – quelli che abbiamo studiato a scuola, per intenderci – e dai pochissimi poeti noti al grande pubblico. Io credo che anche le politiche editoriali siano orientate verso questa direzione: non si può dire che la poesia “non vende” perché non la compra nessuno, se poi non la pubblichi e non la proponi nella grande distribuzione di cui sei proprietario. Se “scrolli” Facebook ti accorgi che è pieno di citazioni poetiche e di gente che pubblica poesie. Quindi la gente la poesia la legge eccome! anzi, ne ha proprio bisogno. Tuttavia, la poesia non è un giallo, non lo divori per sapere chi è l’assassino: la poesia ha bisogno di essere letta e riletta, ha bisogno di riflessione, di dedicazione, ha bisogno di educazione alla sua lettura. E si dovrebbe cominciare dalla scuola, a far studiare – come fa il mio amico poeta David La Mantia, professore in un istituto superiore di Grosseto – i poeti contemporanei, i viventi, e non solo i noti, ma anche “i minori”, che poi minori non sono per niente. In Russia, avevano capito l’importanza della poesia: i primi a essere perseguitati dalla dittatura bolscevica – e rinchiusi o condannati ai lavori forzati e spesso “suicidati” – sono stati i poeti.
Da cosa nasce la definizione di “poetazza”?
Intanto, una doverosa precisazione. Nella lingua siciliana, la desinenza in “azza/o” non è dispregiativa come in italiano. Si dice, per esempio, “cristianazzo” per indicare una persona dall’aspetto imponente, si dice “puaràzzo” con tono empatico e solidale, “bravazzo” per mettere in evidenza l’indole quasi ingenua di una persona. E così via. Il mio “poetazza” ha voluto essere un moto di ironica protesta nei confronti di quei poeti che sono autocelebrativi e troppo compenetrati nel ruolo. La poesia, secondo me, deve essere“art to the people”, di fruizione comune, la poesia deve stare tra la gente, deve esprimere il sentimento del tempo, e se gira sui social, perché sono i mezzi di diffusione più efficaci, non per questo va disprezzata.
Molti poeti accreditati pubblicano le loro poesie sui social, per fortuna.
A suo avviso la poesia deve essere corredata da un formalismo tecnico, da uno stilema definito oppure è una libera espressione dell’animo?
Prendo in prestito le parole di una straordinaria poetessa svizzera, di etnia Jenisch, Mariella Mehr e cioèla poesia mi viene naturale. Il processo di creatività è tuttora oscuro e incompreso dalla stessa neuroscienza e io non so spiegarlo. Credo, tuttavia, che forma e sostanza siano inseparabili, spesso indistinguibili perché la poesia è ritmo, metrica, senso musicale che avvolge la parola e la significa, è verso che inciampa nell’enjambement, è anafora ossessiva, è parola che si slabbra e si mischia in unvortice di disperante eufonia.
Nella sua opera si trae spunto dalla sua esperienza professionale?
Certo. Per esempio, una mia raccolta ancora inedita, dal titolo “Il futuro è straniero”, che peraltro ha vinto parecchi premi, racchiude le poesie che ho scritto quando dirigevo i servizi di ordine pubblico in occasione dell’arrivo al porto di Catania delle navi che avevano operato il salvataggio dei naufraghi al largo delle coste libiche. Un’esperienza emotiva molto forte che sono riuscita ad affrontare grazie anche alla poesia: la poesia, infatti, ha fatto emergere, in modo quasi maieutico, tutte le emozioni che il racconto di quelle vite disperate avevano fatto nascere dentro di me. Ma anche il mio romanzo “Non rompere niente” è pregno delle mie esperienze professionali.
Com’è riuscita a conciliare i suoi due contesti esistenziali abbastanza contrastanti?
Non saprei. Credo, tuttavia, che ognuno di noi celi molte anime dentro di sé: alcune sopite, altre sommerse, altre inconsce, altre incompiute che scopriamo di avere solo quando la vita ci mette alla prova e ci richiede di essere come non eravamo mai stati prima. Il mio mestiere mi ha permesso di conoscere molti aspetti di me che ignoravo. A rischio di sembrare blasfema, credo, comunque, che la polizia e la poesia, hanno qualcosa in comune: hanno come materia condivisa la vita, incidono sulla vita propria e degli altri. Ed è l’esperienza della vita che ho maturato con il mio lavoro che mi porto dentro la scrittura e la poesia.
Quali sono le sue stelle polari della poesia a cui si ispira?
Sono una lettrice accanita e onnivora, ho l’abitudine di portare sempre con me un libro in borsa, come laTereza de “L’insostenibile leggerezza dell’essere”. Quando ero piccola, mia madre mi comprava libri al posto dei giocattoli e, da quando ho imparato a leggere, non ho pi ù smesso. Leggo di media tre libri alla settimana e, quando lavoravo, leggevo di notte, nell’unico momento libero della giornata, sacrificando le mie ore di sonno. Sono il frutto di tutte le letture che ho sedimentato nel corso degli anni e non saprei dire quali autori abbiano influenzato e influenzino la mia scrittura. Sono tanti gli scrittori che ho letto e che ho amato: se fossi capace di stilarne un elenco, questo sarebbe di certo monco e farei comunque un torto agli autori che avrò dimenticato di citare.
Nella sue poesie traspare un umorismo che le rendono leggere addolcendo il dolore di vivere e questo suo stile sembra avvicinarla alla grande poetessa polacca Wislawa SzymborsKa.
Sono onorata dell’accostamento, anche perché la Szymborska è una poetessa che amo molto, senza avere la presunzione di eguagliarla, ovviamente. È assolutamente vero che l’ironia è il registro di molte delle mie poesie: mi trovo a mio agio a scrivere, ad esempio, dell’amore in modo gioioso e ironico, appunto.
Ripeto sempre che la poesia non è “tagliatine di vene” e credo che l’ironia sia l’altra faccia del dolore, cioè il modo di affrontarlo senza farsi sopraffare. Hanno detto di molte mie poesie che sono “carnali”: e cos’è il desiderio se non abbandono alla gioia, all’allegra spensieratezza, alla potenza dei sensi,all’esultanza, al gioco del piacere, alla voglia di esistere pienamente, nella mente e nel corpo?
Il titolo dell’ultimo romanzo “Non rompere niente” sembra l’apologo di una metafora.
Proprio così. Mio figlio lo ha definito un “giallo filosofico” e forse non ha tutti i torti. A cominciare dal titolo che contiene una riflessione sulla vita. “Non rompere niente” è la raccomandazione che di solito i genitori fanno ai figli. Mia madre me lo ripeteva sempre. Eppure, non si può vivere senza rompere niente: nasciamo da una rottura, la rottura delle acque e quella del taglio del cordone ombelicale; nel corso della vita, si rompono le amicizie, gli amori, l’equilibrio delle esistenze che faticosamente ci siamo costruite, si rompe il sintagma dei nostri valori, le stagioni della vita, e quasi sempre ci rompiamo noi stessi. Ogni rottura è una trasformazione e una crescita. E abbiamo bisogno delle nostre dolorose rotture per andare più consapevoli di prima.