Le previsioni del Club di Roma

Senza alcun dubbio le azioni sollecitate e messe in atto dalla giovane Greta Thunberg sono state molto meritorie, ma, a mio parere, già tardive.
Senza alcun dubbio alcune prese di posizione di uomini di governo e alcuni conseguentiprogrammi sono stati fortemente influenzati dai movimenti di massa dei giovani che si sono mobilitati in tutto il mondo.
Prese di posizione e programmi spesso non sostenute da ferme convinzioni o da fermevolontà di raggiungere l’obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni nocive e conseguentemente i danni provocati alla Natura e all’intera Umanità.
La tragedia della Marmolada, non ancora interamente compiutasi, è un segnale dell’irreversibilità di una situazione globale che facilmente può finire fuori controllo.
Eppure da oltre sessant’anni i problemi sollevati da Greta e da tanti volontari che a Greta si sono ispirati nei diversi continenti erano già ampiamente noti e dibattuti.
Un esempio autorevole fu dato dal Club di Roma di cui Aurelio Peccei fu Presidente.
Sessant’anni fa. Eravamo ragazzi e guardavamo all’ anno 2000 come a un anno di pace, di concordia, di sereni equilibri sociali, di aria pulita, incontaminata.
Invece non è stato così. Naturalmente, per quel che mi riguarda, apprezzo molto tutto ciò che ho avuto: la mobilità che ci permette di andare da un continente all’altro in tempi ridotti, internet, le incredibili opportunità del digitale, le scoperte in campo scientifico.
Ma vedo anche intorno a me anche tanto stress, tanta depressione, tanti incidenti stradali,
incidenti sul lavoro, sconvolgimenti della Natura, povertà, rifiuti da smaltire,
inquinamento, desertificazioni. Una fame dilagante.
Tutte cose già ampiamente previste e comunicate al mondo dal Club di Roma intorno al 1960.
Se la nostra generazione potrà ancora farcela, sono fortemente preoccupato per i miei figlie per i miei nipoti. E per tutti quelli che verranno ancora.
Oggi stiamo attraversando una siccità senza precedenti. Piantagioni di granturco bruciate
dal sole, alberi, siepi, piantagioni di grano, piantagioni di riso.
Una situazione che dal versante opposto vede alluvioni, temporali, trombe d’aria, danni irreparabili, morti.
Facciamo programmi per gli anni 2050, 2060, 2070 mentre siamo già nell’occhio del ciclone.
C’è una grande quantità di paesi che definiamo “in via di sviluppo” (perfino la Cina!) che per i prossimi trenta, quaranta o cinquant’anni man mano che progrediranno porteranno il loro notevole carico di inquinamento del pianeta: mi riferisco a India, Malesia, Tailandia, Nord Corea, Brasile, Argentina, Turchia, nonché tutti i paesi del del Magreb. E tutti quelli dell’Europa dell’est.
Si tratta di quasi quattro miliardi di persone. Più del doppio degli abitanti dei paesi (quelli del ricco Occidente) che hanno inquinato finora.
E se finora siamo soffocati dall’inquinamento c’è da domandarsi cosa sarà negli anni a venire quando, secondo il nostro modello di sviluppo, tutti questi paesi si saranno portati al livello dei paesi occidentali.
C’è solo da sperare in un’ azione più convinta e più drastica delle classi dirigenti e della classe politica mondiale che voglia imprimere una forte accelerazione a quella che chiamano “transizione ecologica”.
Certo, almeno dal mio punto di vista, oltre la speranza non c’è granchè.