Un Paese senza etica

Esistono Paesi civili, nei quali vi è il senso dello Stato ed un elevato grado di etica pubblica.
In questi Paesi accade, anzi è accaduto, che se un ministro o un politico vengono accusati di avere assunto comportamenti disdicevoli, come avere copiato la tesi di laurea; avere utilizzato in modo improprio la carta di credito della istituzione presso la quale svolge un incarico; avere ricevuto illegittimi contributi elettorali, viene invitato a dimettersi.
E lo fa subito, uscendo definitivamente dalla scena politica.
Poi vi è un altro Paese nel quale tutto ciò non conta.
I politici, anche se condannati con sentenza definitiva, restano al loro posto e si candidano.
Se condannati in primo grado per gravi reati contro la Pubblica Amministrazione, restano al loro posto e si candidano.
Se sospettati di contiguità con la mafia, restano al loro posto e si candidano
Anzi, alzano la pretesa e si candidano in collegi parlamentari “blindati” che assicurano la elezione.
Figuriamoci se hanno copiato la tesi di laurea!
Il popolo bue li vuole così, anzi li difende, li vota e li osanna.
Tutto ciò accade in alcuni Stati corrotti del Sud America o dell’Africa?
No, accade in Italia, il Paese che ogni anno tributa un ipocrita ricordo a Falcone e Borsellino, ma ne tradisce sistematicamente il messaggio morale.
Un Paese senza etica privata e pubblica.
Un Paese nel quale prosperano avventurieri senza scrupoli e dignità.
Un Paese che, purtroppo, è il nostro! Rileggere i classici della letteratura aiuta a riflettere.
Per esempio, le “Novelle” di Giovanni Verga.
In quella che ha per titolo “La Roba” si narra del contadino Mazzarò che ha prodotto e accumulato ricchezze per tutta la vita.
È schiavo della bramosia del possesso, dell’attaccamento ai beni materiali, dell’avarizia.
Questa vicenda riguarda tutti gli esseri umani.
Produrre, accumulare e possedere senza sosta, rappresenta la colonna sonora della vita di molti.
E non solo riguardo ai beni materiali, ma anche, tragicamente, rispetto ai rapporti con le persone.
È un circuito perverso generato dalla mancanza di una profonda e stabile identità, e che determina insicurezza.
Produrre, accumulare e possedere diventano, così, una forma di compensazione inadeguata.
Il risultato è una stato di insoddisfazione che diventa perenne.
Alla fine si è infelici.
La via d’uscita da una tale schiavitù dell’anima non è facile.
Occorre reinventarsi, operare un radicale rinnovamento del cuore e della mente.
Suggerisco un percorso, tra i tanti possibili. Privarsi della titolarità dei propri beni e cederli agli eredi quando si è ancora in vita.
È una sensazione nuova, di leggerezza, di libertà.
E si scoprono quali sono i rapporti autentici, non mediati da aspettative materiali.
Rapporti nei quali ci si vuole bene per quello che si è, non per quello che si ha e che si potrà dare.
Chiudo con una confidenza personale: questa scelta l’ho fatta molti anni fa.
Il mio testamento, che ancora non ho scritto, sarà solo spirituale.