Freaks Out

Regia di Gabriele Mainetti, con Giorgio Tirabassi, Aurora Giovinazzo, Pietro Castellitto, Claudio Santamaria, Giancarlo Martini, Franz Rogowski. Italia/Belgio, 2021 (141’). In streaming su Prime
Tra una pletora di film fatti con lo stampino capita di vedere un’opera che si impone per originalità, sia di scrittura che di regia. Capita raramente, è vero, soprattutto se parliamo di cinema italiano, ma stavolta è il caso davvero di inchinarsi davanti alle invenzioni di Gabriele Mainetti che ci proietta in un fantastico 1943, dove, in una Roma occupata dai nazisti, Israel, un circense ebreo cerca di portare i suoi spettacoli al pubblico insieme a un uomo lupo, una ragazza elettrica, un nano calamita e un giovane capace di controllare gli insetti. Gli strani fenomeni da baraccone ci guidano in una distopia (non proprio impossibile a realizzarsi, in verità) fino all’incontro con il compositore Franz, che dirige il Berlin Zircus, ma che anche lui ha poteri speciali in quanto ha sei dita e riesce a vedere, almeno in parte, il futuro. Franz vuole evitare la disfatta del Fuhrer e pensa che proprio i quattro fenomeni da baraccone provenienti dal circo “Mezzapiotta” possano essere lo strumento del suo piano. Non tira aria di realismo, nel film di Mainetti, ma le metafore sono lì a ogni passo a dimostrarci che anche con il fantastico si può parlare della contemporaneità. Tra un gruppo di partigiani da operetta che si trovano in un bosco romano e sembrano usciti dalla foresta di Sherwood, e gli strani poteri di Fulvio, Cencio, Mario e Matilde, mentre Israel viene catturato e rischia la deportazione, e Franz persegue il suo folle progetto inimicandosi gli ufficiali dell’esercito nazista, la storia si dipana con agilità, coinvolgendo gli spettatori in una sorta di gioco (o videogioco) dell’immaginario collettivo, in cui pezzi di storia, di cinema del passato e di fantasie fumettistiche del futuro, si associano allegramente grazie alla magia del circo, la stessa che era sempre d’ispirazione per il grande regista Federico Fellini.
Insomma Mainetti inventa, reinventa e si affranca dalle pastoie del recente cinema italiano, compone un suo stile internazionale affidandosi a quanto di più provinciale (il dialetto romanesco) i film nostrani abbiano veicolato, recupera la figura del “mad doctor” e la fa incrociare con il mondo inquietante di Tod Browning, ci tuffa nella fantasia dei supereroi per mostrarne la malinconica amarezza tramite il rifiuto della, per quanto necessaria, violenza, e riesce anche a sfiorare il dramma della Shoah con leggerezza. Un miracolo che merita forse anche più di una visione.
voto: 8 e mezzo