E’ nata una nuova stella nel firmamento televisivo nazionale

Sino a qualche settimana fa, l’italiano medio nemmeno sapeva chi fosse Alessandro Orsini, lo studioso professore universitario aggregato di Sociologia a Tor Vergata e alla Luiss; poi, causa conflitto tra Russia ed Ucraina, si viene a sapere che le sue analisi hanno irritato il mainstream politico nazionale e di conseguenza i giornalisti allineati alla propaganda bellica (si pensi al neointerventismo di giornalisti come Gramellini, Severgnini e di direttori dei giornali come Massimo Giannini in prima linea sul quotidiano da lui diretto: La Stampa), per cui, i goffi tentativi di censura, le interrogazioni parlamentari dei gruppi politici che sostengono le politiche economiciste di Draghi sul contratto che la Rai avrebbe in un primo momento sottoscritto per poi bloccarlo, per non parlare degli innumerevoli tentativi di linciaggio in occasione delle sue partecipazione in quelle canee dei talk show nazionali, hanno avuto l’effetto di martirizzarlo e di tramutarlo in un nuovo Massimo Cacciari, per cui Alessandro Orsini è diventato l’erede del filosofo veneziano essendo ormai presente tutti i talk show nazionali.
L’articolo qui presente non riguarda la sua recente vicenda televisiva, né vogliamo analizzare le cause; a noi interessa analizzare un opuscolo da lui pubblicato già nel 2012 ed intitolato Gramsci e Turati le due sinistre, casa Editrice Rubattino nel quale il nostro autore, ben prima di essere conosciuto dal grande pubblico, aveva affrontato un tema storico: il confronto tra la storia e la tradizione culturale esistente tra i due maggiori leader del movimento operaio della prima metà del XX secolo Filippo Turati e Antonio Gramsci.
Crediamo che non esista uno scrittore più citato, talvolta a sproposito, talvolta con fini cui nulla hanno a che vedere come fanno alcuni movimenti meridionalisti antiunitari e filoborbonici che interpretano in maniera alquanto fantasiosa le sue tesi sul Risorgimento e sulla Rivoluzione Passiva a tal proposito si legga l’articolo da noi pubblicato nel nostro giornale un paio di settimane fa) come Antonio Gramsci, tanto citato quanto poco letto e poco compreso, tanto considerato con una devozione quasi mistica da parte di coloro che trovano affascinante citarlo insieme agli aforismi di Andrea Camilleri, di Charlie Chaplin, di Albert Einstein e quelli comici di Woody Allen.
Crediamo che su Filippo Turati non c’è stata la stessa fortuna di Antonio Gramsci, nessuno cita i sui aforismi, nessuno legge i suoi ponderosi lavori, nessuno conosce il suo pensiero politico e nessuno li pubblica.
Eppure entrambi considerati maestri dagli eredi che venivano dal PCI e dal PSI che sono diventati democratici; si è arrivati ormai al punto che entrambi siano stati considerati simili al punto da diventare dei maestri da seguire.
Mai valutazione si basa su asserti tanto erronei quanto fallaci; difatti, ad una attenta analisi è possibile vedere che se si esclude la profonda diversità politica culturale, non è possibile fare un accostamento tra un leader storico profondamente legato dal punto di vista culturale dal pensiero positivista come Filippo Turati ed un altro da quello idealista gentiliano con una forte dose di leninismo da parte di Antonio Gramsci.
La tesi di Alessandro Orsini parte da uno spunto interessante nella quale il riformismo di Turati è considerato come l’emblema della tolleranza, della difesa dell’eresia e delle minoranze; dalla critica alla violenza di classe, violenza enunciata da Georges Sorel che influenzò parecchio la politica mussoliniana dopo avere rotto con il Partito Socialista nel 1914, per non parlare dalla posizione contraria alla polemica personale verso coloro che per Turati erano avversari, mentre per i rivoluzionari e per lo stesso Gramsci l’avversario era un nemico da distruggere.
Proprio da questo nasce la contrapposizione tra i due politici, la cui visione del mondo e del socialismo non hanno punti in comune: il neutralismo di Turati, l’interventismo di Gramsci (argomento in verità poco studiato, e credo poco gradito dai santificatori comunisti di Gramsci), il rispetto per l’avversario di Turati, la corruzione del socialismo riformista secondo i rivoluzionari.
Libro questo di Orsini nel quale il discorso generale è giusto, avendo compreso in linea di massima, le differenze politiche tra i due-sebbene chi scrive ha riserve dei mutamenti netti di Gramsci dopo l’arresto avvenuto nel novembre 1926, nei quaderni dal Carcere, Gramsci sferza Achille Loria, Adolfo Omodeo, e tanti altri contemporanei provenienti dall’area socialista e azionista che erano sicuramente i bersagli prediletti di Gramsci – ma che cade nel manicheismo che per ironia della sorte lo stesso autore Alessandro Orsini rimprovera a Gramsci e alla tradizione culturale di Arturo Labriola e Costantino Lazzari, per non parlare di inesattezze che avrebbero potute essere corrette se vi fosse stato una maggiore attenzione nella revisione dello scritto. Un libro che esprime i pregi ed i difetti del nostro autore, un libro che forse potrebbe darci, al di la della distinzione politica tra due autori antitetici come Turati e Gramsci, i pregi ed i difetti di Alessandro Orsini studioso e opinion maker.