Un racconto su Napoli

La conquista della Campania (e di altre regioni del Sud Italia) da parte dei Romani ebbe luogo a partire dal 340 a.C.
In particolare la città Napoli fu conquistata nel 328 a.C. dopo una guerra di breve durata.
I Romani tuttavia, anche se vincitori, ritennero di dover rispettare ordinamenti e tradizioni locali, improntate, come si disse in altro racconto, fondamentalmente alla cultura e a consolidate tradizioni greche. Nonché alla lingua.
A parte le dovute eccezioni, e tra queste notevole è ancora da ricordare la stratificazione sotterranea della bellissima basilica di San Lorenzo Maggiore, nel nucleo urbano della città di Napoli le tracce di elementi urbanistici o di importanti architetture romane, sono davvero poche.
Viceversa in tutte le periferie che fanno da corona alla città, a partire dai Campi Flegrei, con le città di Pozzuoli, Baia, Bacoli, Miseno, la presenza romana è evidente, ricca, appagante, come è ben testimoniato da siti molto ben conservati, come la Piscina Mirabilis di Bacoli, e, in epoche successive, l’Anfiteatro Flavio di Pozzuoli, il Tempio di Serapide e i Templi di Augusto e di Nettuno.
Questo per non parlare, nelle zone più a sud, di tesori come Pompei, Ercolano, Oplonti (l’attuale Torre Annunziata) e Stabia.
Insomma una corona di insediamenti che nel corso dei secoli diede fisionomia a una delle aree archeologiche più notevoli al mondo.
Basterà pensare alle ricchezze di Pompei che attualmente non cessano di venire alla luce e di stupirci.
Notevole, ma edificato in epoca successiva, il Colosseo di Capua, secondo, per dimensioni, al Colosseo di Roma di cui rappresentò il modello.
In realtà l’attenzione dei Romani, fra il IV° e il I° Secolo a.C., oltre che a Napoli e alla Campania, fu molto dedicata all’intera Italia del Sud con le ulteriori conquiste di città greche come Paestum (in quella che attualmente è la bassa provincia di Salerno), dell’intera Sicilia, (Taormina, Siracusa, Agrigento), o della Calabria.
Un progetto ancor più strategico spinse con determinazione i Romani fino al Nord Africa con le tre Guerre Puniche, che tra il Terzo e il Secondo secolo a.C. portarono alla conquista e alla distruzione della città di Cartagine.
A parte l’ innegabile valore strategico della conquista del Sud Italia come proiezione verso il dominio del Mediterraneo (da cui ci si poteva spingere verso ulteriori conquiste), si può dire senz’altro che Roma considerò la città di Napoli come “una felice estensione dell’ Urbe”.
E’ vero che il porto principale di Roma era quello di Ostia, ma è anche vero che il Porto di Miseno, poco a nord di Pozzuoli, era fondamentale per la sua posizione logistica e strategica. Capace di dare asilo a duecentocinquanta, duecentosessanta navi triremi. E altro ancora.
La “Campania Felix”, che era tale sia per la fertilità del suolo che per il clima particolarmente favorevole, ospitò le dimore di personaggi eminenti del Potere Romano.
L’imperatore Tiberio, ad esempio, a Capri si fece costruire ben dodici ville. E di tre di esse si conservano ancora le tracce: Villa Jovis, proprio sullo Strapiombo di Tiberio, Villa Damecuta e Palazzo a Mare.
Quest’ultima residenza, ormai quasi del tutto sparita, era stata già fatta costruire da Augusto Imperatore (anche lui molto amante dell’isola) e quindi, successivamente, fu ereditata da Tiberio.
A Capri, per alcuni anni dimorò anche Caligola, nipote di Tiberio.
E sembra che all’epoca, nelle ville dell’imperatore, con lo stravagante nipote, ci si abbandonasse a turpitudini di ogni sorta, tra feste, orge e frenetiche attività di divertimento.
Altri personaggi potenti e illustri dimorarono a Napoli, da Orazio che cantò l’ “Otium Neapolitanum”, a Nerone che veniva a Napoli per collaudare le sue creazioni poetiche e canore, fino a personaggi minori, come ad esempio il nobile Publio Vedio Pollione che si fece costruire una sontuosa dimora in quello che oggi è denominato Parco Archeologico Pausillipon.
Una cosa che onora molto i cittadini e la città di Napoli è che la stessa ospita la Tomba di Virgilio (Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope. Cecini pascua, rura, duces). E ciò proprio per volere del grande Poeta mantovano.
La tomba è collocata nel Parco Vergeliano, in zona Mergellina, in cui trova dimora anche la Tomba di Giacomo Leopardi.
La storia della città è innegabilmente segnata dalla presenza del Vesuvio. E dall’eruzione del 79 d.C. che distrusse Pompei, Ercolano, Oplonti e Stabia.
Gran parte di queste città furono poi riportate alla luce con scavi archeologici iniziati nel XVIII° secolo, in epoca borbonica.
Gli effetti di quell’eruzione ancora oggi parlano alla città.
Percorrere l’autostrada Napoli-Pompei-Salerno significa ancor oggi passare, e non in un solo sito, tra grossi blocchi di lava risalenti a quel drammatico evento.
Il rapporto tra il Vesuvio e la città è intimo e viscerale. Prima di tutto perché il Vesuvio è lì e insiste con tutta la sua bellezza e tutti i suoi misteri.
E poi sono centinaia di migliaia le persone che ogni giorno guardano con sospetto, ma anche con amore, la cima del Vulcano.
Tutto il territorio vesuviano, Ottaviano, Sant’Anastasia, Somma Vesuviana, Torre del Greco, Boscoreale, è impregnato degli umori, degli odori e dei sapori del Vulcano.
La terra è fertile, le albicocche di Somma Vesuviana sono grandi come le pesche di altre parti d’Italia… Nespole, ciliegie, pomodori, ortaggi, hanno dimensioni e sapori mai visti o sentiti altrove.
Il Vulcano alita nelle bocche della gente.
Sono settecentomila almeno gli abitanti che vivono alle falde del Vesuvio. Essi sanno bene che corrono rischi inenarrabili. Ma stanno lì in virtù di un patto non scritto. Che il vulcano non esploda all’improvviso.
Che nella malaugurata evenienza di un’eruzione ci sia il tempo di mettersi in salvo con la famiglia e un minimo di beni.
L’ ultima eruzione risale al 1944. Settantotto anni fa.
I vulcanologi avvertono. I Napoletani si guardano negli occhi. A volte smarriti, qualche volta sereni, in base alla filosofia che il vulcano non li tradirà.
E così passano i giorni, i mesi, gli anni.
Oppure, come avvenne nel 1767 al Ponte della Maddalena, sperando che San Gennaro alzi una mano e blocchi la lava.
Ma questo è un altro capitolo. San Gennaro merita un racconto a parte. Perchè San Gennaro non è un Santo come gli altri.
San Gennaro è San Gennaro.