Il declino della politica

Il declino della politica nel suo senso originario, greco di “vita activa”-la vita della polis-, poi ripreso da Hannah Arendt in un suo saggio, “La vita attiva”, sulla condizione umana nella sua duplice dimensione, privata e pubblica, inizia dopo l’ 89.
La caduta del muro, la delegittimazione delle ideologie-che pure nelle forme più rudimentali e di parte rappresentavano comunque l’ esplicazione di un pensiero politico, e in generale di una visione del mondo-, ha comportato una deriva della Politica, nel suo senso più alto, aristotelico, di ricerca del bene comune e di esercizio di una dialettica interpersonale, extrasoggettiva, verso approdi di solipsismo autoreferenziale. La rete, i social, lungi dal democratizzare lo scambio, dal favorire il confronto di idee, dall’ampliare e arricchire le possibilità di conoscenza, ha annacquato nel mare magnum dell’ approssimazione informativa le capacità di ragionare, di dialogare, di confrontare in uno spazio comune reale le proprie conoscenze. Dall’ impolitica, passando per il rigetto di regole e confini dell’agire politico, si è arrivati all’autoreferenzialità del discorso politico, a una babele di comportamenti che non si traducono in agire politico, ma restano nell’ ambito di una sfera soggettiva, emotiva e improduttiva. Su tali comportamenti prepolitici, preideologici, irrazionali, si costruiscono i populismi, i totalitarismi, i sovranismi.