Democrazia di genere, una storia anche siciliana

L’odierna protesta delle donne del Partito Democratico, per una loro mancata rappresentanza femminile nel nuovo governo ,mi proietta negli anni novanta quando ad una già capillare e diffusa affermazione sociale e lavorativa delle donne, soprattutto nei campi a vocazione maschile, non corrispondeva una democratica attribuzione alle donne di poteri decisionali governativi. Le donne erano, e sono ancora, sempre un passo indietro, come la moglie giapponese che doveva camminare un passo dietro l’uomo. Il 1992 è l’anno in cui le donne siciliane del partito, che allora si chiamava Pds – Partito Democratico di Sinistra, poi Ds – Democratici Di sinistra, ed oggi Pd – Partito Democratico, intrapresero un percorso politico , meglio dire una battaglia interna ed esterna al partito per una riforma elettorale all’insegna della differenza nella democrazia paritaria. E’ l’anno della legge elettorale dell’ elezione diretta dei sindaci e dei presidenti delle provincie, nella quale non venne accolta l’elaborazione e la pressione delle donne per un cambiamento di rotta politica finalizzata a conferire alle donne responsabilità nel governo dei territori e delle istituzioni. Nel 1992, presso l’allora Provincia di Catania, fu indetta una convocazione delle cento elette catanesi. Nel 1993 si costituisce a Palermo un trasversale Comitato Donne Siciliane, per la riforma elettorale. Nel primo documento si legge che Il primo obiettivo da realizzare, attraverso le procedure elettorali ,è il principio della rappresentanza paritaria . Il percorso prevede un volantino, una raccolta di adesioni e di firme da consegnare al presidente della Regione , Giuseppe Campione. Nel 1997 ad Agrigento in un convegno le donne del Pds si incontrano con le donne di altra formazione politica ed associativa, come la Fidapa, sul tema Donne e Democrazia. Nello stesso anno la storica catanese Emma Baeri lancia un’articolata proposta di un preambolo della Costituzione in cui assumere il principio dell’inviolabilità del corpo femminile e l’affermazione dell’uguaglianza,………, come equivalenza nell’ iscrizione del diritto di cittadinanza. Nel 1998 Maria Immordino, giurista palermitana , scrive un lungo articolo , Statuto e democrazia paritaria, sulla rivista “Nuova Autonomia.Nello stesso anno a Palermo, per la stessa finalità, si costituisce una sezione dell’associazione nazionale “Emily”, una sorta di potere lobbistico sulla scia del modello inglese. Sotto queste pressioni , non solo siciliane,si approvano le modifiche delle leggi elettorali relative alla composizione delle liste, ma le donne restano ancora fuori dalle nomine dei governi . Tra il 1998 ed il 2000 l’Arci donna di Palermo pubblica due quaderni, finanziati all’interno di un progetto della Comunità Europea, sulla Democrazia Paritaria con dati, riflessioni e proposte. Sempre nel 2000 è indetta la conferenza regionale delle donne dei Ds , nel cui documento preparatorio si legge che è necessario iscrivere nelle istituzioni la differenza di genere e che la democrazia paritaria è un obiettivo qualificante della nuova politica, invitando il governo regionale ad impegnarsi a recepire la direttiva Prodi – Finocchiaro del 27 marzo del 1997 , volta a promuovere l’attribuzione di poteri e responsabilità alle donne. Nel 2001 le diessine tengono un seminario Idee delle donne per il governo paritario nelle istituzioni . Segue un incontro con l’allora candidato Leoluca Orlando a cui viene consegnato il documento finale del ragionamento politico delle donne. Il 16 febbario del 2001 , il coordinamento delle donne Ds Sicilia redige un ordine del giorno in cui impegna il partito ad eleggere nelle imminenti elezioni politiche quattro donne,pari al 33% , delle donne candidate , di presentare le liste con l’alternanza uomo- donne e di non eccedere nel numero delle legislature evitando l’eccesso di deroghe ai singoli eletti. Tutta l’attività delle donne siciliane si colloca, naturalmente, in un movimento nazionale. Nel 2001 le deputate Stefania Prestigiacomo, Alessandra Mussolini ed un gruppo di deputate e deputati del centro sinistra presentarono rispettivamente tre proposte di legge dal medesimo contenuto di modifica dell’ articolo 51 della Costituzione : La Repubblica promuove con appositi provvedimenti la parità di accesso tra donne e uomini . Bisogna aspettare ancora due anni, nel 2003 all’art . 51 della Costituzione si aggiunge il capoverso, proposto alla Camera trasversalmente, che garantisce la costituzionalità delle norme legislative in fatto di rappresentanza di genere. Nel 2007 il Pds cambia ancora nome e sostanza sfociando nel Pd, dove io non ci sono più. Da qualche tempo già le donne, dividendosi, si posizionavano non nelle correnti, sempre esistenti nei partiti, ma nell’area dei vari leader la cui difesa era prioritaria rispetto ad altri obiettivi. Lo spazio comune politico delle donne non esisteva più, le donne cominciano ad essere premiate in base alla fedeltà al capo. Si interruppe una storia ed una prassi femminile di elaborazione, di condivisone e di pressione politica collettiva il cui oggetto era, appunto, la soggettività delle donne nei luoghi di responsabilità decisionale. Non è stata solo la divisione delle donne di quel partito, certamente, a frenare il processo di rappresentatività femminile, ma lo stesso processo con cui si è costituito il partito e la resistenza di tutti i parlamentari,anche dei siciliani per esempio, a recepire le direttive del comma 137 art. 1 della legge 56/2014 che recita : nelle giunte dei comuni con popolazione superiore a 3.000 abitanti, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento. Alla regione Sicilia la norma è stata recepita solo nel 2020 e diventerà operativa alla legislatura successiva, mentre per la formazione del governo nazionale non mi pare che dalla modifica dell’art. 51 del 2003 sia stata approvata una legge in tal senso. A questa lentezza dei tempi, che denota il conflitto dei conflitti tra donne e uomini, si aggiunge la “diminutio” della parola quote come riserva femminile, ignorando volutamente che la rappresentanza femminile definita per legge è un processo di democrazia come quello del suffragio universale e della dichiarazione di uguaglianza di tutte e tutti i cittadini.