Mestieri femminili e lavoro domestico nella Sicilia di Giovanni Verga

Per il centenario della morte di Giovanni Verga desidero ricordare un lavoro di Angela Catenesi e di Marinella Fiume, due figure molto conosciute nel nostro territorio non solo come insegnanti delle scuole superiori ma anche come raffinate intellettuali. Nei primi anni ottanta, del secolo scorso, Angioletta, così come affettuosamente è chiamata dalle amiche e dagli amici, conoscendo la mia curiosità sulla scrittura e sulle nuove metodologie critico—letterarie da parte delle donne mi fece dono di un piccola stampa che raccoglieva i loro due interventi al II° Congresso Internazionale di studi antropologici siciliani del 26-28 marzo del 1980. Lo studio era una ricerca sui: <<Mestieri Femminili >> e <<Lavoro Domestico >> nella Sicilia di Giovanni Verga. Divorai subito questo lavoro, che è stato una pietra miliare del percorso della critica letteraria femminista. A questo lavoro, infatti, negli anni sono seguiti diversi specifici convegni come quello del 1983 svoltosi a Misterbianco, del 1988 a Palermo e quello del 2016 svoltosi alla Sapienza di Roma i cui atti rispettivamente sono stati raccolti nei volumi Letteratura siciliana al Femminile : Donne scrittrici e donne personaggio , Donne e Scrittura e Critica Clandestina? Studi letterari femministi in Italia. Il lavoro della Catanesi e della Fiume confermava, inoltre, la mia intuizione sulla soggettività femminile all’interno di una società in cui la subordinazione femminile era sancita dai valori sociali e dal diritto. Ho sempre conservato con amore queste pagine. L’operazione delle due autrici consiste in una minuziosa individuazione e catalogazione dei lavori eseguiti dalle figure femminili che si trovano nelle pagine dello scrittore siciliano, tale da trarre “un inventario”, attraverso cui è stato possibile suddividere i lavori secondo la seguente classificazione: Lavoro domestico, Attività miste configuratesi come prolungamento del lavoro domestico e Mestieri svolti per conto proprio o altrui.
Nelle pagine dell’autore, che certo progressista non era, non mancano le donne ditutti i ceti, le loro attività, il loro muoversi in famiglia. È la vita femminile del mondo contadino e del proletariato, però, ad illuminare una dimensione femminile non statica del ruolo delle donne, bensì di protagonismo e di contributo all’economia ed alla organizzazione della famiglia.
A queste conclusioni, appunto, le autrici arrivano attraverso l’inventario dei lavori delle donne verghiane. Lavori che si svolgono all’interno delle famiglie segnate dove perdura soprattutto la miseria. Il lavoro domestico è relativo alla riproduzione sociale come la preparazione del cibo, la pulizia della casa, la filatura e la tessitura per uso familiare, attività definite come lavoro domestico, che si svolge in luoghi fisici che vanno oltre i muri della casa , il cortile , l’orto, il lavatoio , la strada sono prolungamenti della casa .
A questo si aggiungono le attività miste configuratesi come prolungamento del lavoro domestico, come quelle delle filatrici per conto terzi, venditrici al minuto, serve , lavandaie.
Ed ancora i mestieri svolti per conto proprio o altrui, come quelli delle vendemmiatrice, raccoglitrice di olive, incartatrice di arance, locandiere, merciaie, prostituite, artiste.
Dall’analisi di queste tre aree, le autrici traggono le considerazioni che Il lavoro delle donne verghiane, di estrazione contadina e proletaria, non è episodico ma contribuisce al sostentamento del nucleo familiare. La stessa prostituzione è intesa come lavoro generato e spinto dalla miseria. Mentre la struttura gerarchica familiare di ordine sociale, politico e giuridico relegava le donne in uno stato di sottomissione all’uomo, le donne invece contribuivano attivamente all’economia ed alle decisioni delle famiglie. Il lavoro delle donne e gli stessi rapporti familiari erano basati su logiche economiche. Alla costituzione di questa unità economica di base che è la famiglia, la donna dà il suo contributo in sede preliminare mediante la dote.
Nedda, donna Mena, Grazia, comare Menica, la gnà Vera, Mara, comare Santa la madre di Jeli il pastore, Rosaria, Anna, la Lupa , Lucia e tante altre donne verghiane che vivono lo stato di miseria, sono donne a cui tocca lavorare in quanto la deroga è avvertita dai membri della famiglia come una colpa , poiché viene meno l’elemento su cui si fonda l’economia familiare .
E’ il bisogno della famiglia, dunque, a motivare il lavoro delle donne e non valori di tipo individualistico, per questo non è considerato causa della disgregazione familiare né concorrenziale all’uomo, in quanto tale Verga non coglie che tutto ciò possa configurarsi come una pesante discriminazione nei confronti delle donne.