I poetici “spiriti” di Antonio Di Mauro

La poesia di Antonio Di Mauro, in questo suo nuovo libro, Società Italiana Spiriti, apparso nella prestigiosa e raffinata “collezione” curata da Maurizio Cucchi per Stampa 2009 Edizioni (Azzate, 2020), sembra attingere la propria fonte d’ispirazione non nel reale in sé, bensì in un tempo incrinato tra continue sequenze d’immagini, di figure, di parvenze labili di creature, e fitta nominazione di oggetti, di accadimenti, d’incontri, di luoghi e di paesaggi decantati dalla memoria, all’interno di uno scenario che è impalpabile distanza dal mondo coinvolto nel vortice della Storia sensibile e tangibile, in cui ciascun ente nominato viene assunto a principio di verità. Come se gli enti stessi, insieme con il carico delle venture che li pertengono, simili a minuti frantumi di un’illusione ormai deflagrata, e tuttavia pervicacemente ricomposta e recuperata per forza di pensiero e di parola, fossero sospesi dentro lo specchio magico di una dimensione autre: la dimensione a-spaziale e a-temporale, esclusivamente interiore, appunto, del sogno. In cui, strappandolo al nulla eterno, tutto può accadere, e persino riannodarsi, al di là del tempo e della Storia, il filo del colloquio con “le care ombre” di un passato prossimo o remoto per sempre troncato dalla feroce mannaia della morte (“ma voi dove siete / anime dolenti, dove siete / ombre vaganti che avverto presenti?…”).
Ecco: qui è la demiurgia della parola a dominare in assoluto, a presiedere alla creazione e alla ripetizione, dacché il nulla è una voragine che ingoia e disintegra, nella quale non scorre neppure il tempo, che è la dinamica della Storia e delle piccole avventure umane.
E qui l’io del poeta può scrivere la biografia sua e delle “ombre” che ne hanno preceduto e determinato la vicenda esistenziale, ricostruirne, in un proprio trepido e appassionato “romanzo” in versi estesi, dunque narrativi, e ritmicamente scanditi, l’epopea minima, poiché la poesia, per sua intima essenza, segnata è dalla vita, è, come la vita, fragile e imprevedibile, e si muove lungo la necessitata linea che congiunge il vissuto al sognato.
Nello stilizzare la corrente di tracce biografiche di sé e delle proprie radici, l’io del poeta, oltre tutto, rievoca e ricrea il puntuale-credibile ambiente della piccola borghesia imprenditoriale siciliana dei primi decenni del secolo scorso che, ruotando intorno all’asse portante della “storia” – le sorti (nell’ancipite senso di buone o cattive venture) della distilleria dell’alcol puro, con “la ciminiera di mattoni / nel nitore di luce sulla torre / che custodiva l’alambicco / come un santuario gotico” , orgoglio e cruccio della famiglia –, convoca in scena un cuore pulsante di brandelli d’esistenze che s’intrecciano: un microuniverso di volti, di figure, di situazioni, di affetti, di sentimenti, di atti, di gesti, da cui guizzano fuggevoli “anime” che furono pienezza di vita; che, protagoniste e comparse, un attimo irrompono sul proscenio del poemetto, vi recitano la loro “parte”, e sùbito dopo spariscono inghiottite dal buio delle quinte; e che, con un velo a-posteriori di malinconica ironia, l’io confessa di aver immaginato, nell’ingenuità della sua infanzia suggestionata dalla denominazione della società di commercio e lavorazione dell’alcol puro (Società Italiana Spiriti”), costituissero “una congregazione / ultraterrena di mutuo soccorso esclusiva / riservata a entità nostrane” affollante un possibile, non distante, al di là.
La fenomenologia degli accadimenti e la cronaca delle posizioni biografiche rappresentate, specie in Storie dell’età dell’oro (il poemetto d’apertura del libro, uno dei cui brani, Ardore di luglio fiamma dell’origine, è da antologia), passano sì, allora, nella coscienza dell’io, ma vi passano non soltanto per farsi corrente di flussi e di blocchi immaginali, in una coerenza che ne segni, che ne fissi uno stato di disperazione e di irreversibilità, bensì, anche e soprattutto, come momenti impressivi – corona di consecutivi istanti – di cognizione e di giudizio tesi a focalizzare e ad illuminare, all’interno di un racconto intensamente affabulato, il complessivo significato dell’esistenza e del suo limite, con il connesso fardello di sogni, di speranze, d’incontri, di passioni, di paure, di insidie del destino, di sofferenze, di inevitabili cadute e di miracolose riprese che li connota.
“Congregazione” di anime e altrove, peraltro, il poeta si finge (adulta e consapevole dissimulazione onesta, stavolta) anche nei due segmentati poemetti di cui constano le sezioni seconda e terza del libro, rispettivamente intitolate Frammenti di lettere a familiari e amici e Pietà del figlio. Dove, nei consueti versi narrativo-ritmici esornati da preziosi intarsi citazionali, che mettono in gioco non solo la ricerca metaforica, ma anche il calcolato ragionamento della disposizione del linguaggio secondo uno schema strutturale e metrico teso a far emergere il senso delle immagini, egli o stilizza (nel poemetto della sezione seconda) un estremo, affettuoso-struggente collegamento comunicativo, in forma epistolare, con gli amici viventi o trapassati e con le “care ombre” dei parenti amati e perduti, oppure ridà respiro e parola (nel poemetto della sezione terza) all’imago dell’uomo – dell’uomo ridotto a bestia nel “recinto” del lager, destinato a ritrovare la libertà soltanto passando come anima di fumo dal camino; e di quello trascinato nell’inferno dei gulag a “rieducarsi” in un lento, atroce, interminabile morire –, annichilito dal dolore, dal male (anche ideologico), ed elevato a portavoce delle sofferenze storiche che affliggono l’umanità.
La narratività del fraseggio versico, d’altronde, non viene meno nelle successive sezioni Dentro, oltre lo sguardo e Diario clinico, nelle quali il discorso poetico, oltre ad arricchirsi di vis figurale (“nelle braccia della notte”; “il vento a tradimento come un ladro / […] ruzzola botti stracolme di pioggia”; “la cripta del cuore”) e preziosità tecniche (metafore, ellissi, iperbati…) tipiche del Barocco, si frastaglia, tuttavia, e si articola in strutture compositive di metri lunghi inframmezzati da metri brevi e viceversa (come avviene nella breve sequenza di Latitudine di luce), si rastrema in sette-ottonari e in otto-novenari (in prevalenza), mentre il respiro lirico del componimento si accorcia fino a ridursi, talora, a una sola fulminante quartina.
Ciò che non muta, invece, sono i motivi fondanti dell’invenzione poetica, il robusto fil rouge che corre lungo l’intera raccolta e le conferisce intima congruenza (“il sogno delle radici”; gli operai “a guardare la grande / caldaia e il castelletto, i termomanometri”; le silhouettes imbacuccate che / nell’imbrunire “escono alcune / dal vicolo della vecchia distilleria / altre vengono pure da quella nuova”); le ferita dell’infanzia, ormai rimarginata ma ancora dolorante; l’addio, intriso di riottosa tenerezza, dell’anziano genitore morente nel letto dell’ospedale ecc).
Non muta, soprattutto, la strenua volontà dell’io – perché la memoria di chi più non c’è non precipiti nel gorgo del silenzio e dell’oblio, perché in quella memoria trovi, anzi, perenne ospitalità nella “casa” della propria poesia – di mantenere il colloquio comunicativo con l’ultraterrena Società Italiana Spiriti: con le “anime dolenti”, le “ombre vaganti”, “penitenti”, di cui lo stesso io avverte la costante, inevitabile presenza, e da cui, nell’immane fatica di vivere, attinge ammaestramenti, conforto di pazienza, di resistenza, di umana pietas.
*Antonio Di Mauro è nato ad Aci Bonaccorsi nel 1950. Ha collaborato al volume Il Novecento della Letteratura Italiana diretta da Enzo Siciliano (Curcio, Roma, 1988) e ha redatto la sezione Letteratura dell’annuario 1990 dellaGrande Enciclopedia Curcio (Roma, 1991). Ha pubblicato, inoltre, saggi di critica letteraria sulle riviste “Testuale”, “I quaderni del Battello Ebbro”, “Nuovi Argomenti”. Collabora alle pagine culturali di “La Sicilia” ed è componente della Giuria tecnica del Premio Brancati-Zafferana.
Dopo la plaquette di versi Diagramma (Milano, Todariana, 1972), ha pubblicato Quartiere d’inverno (poesie, Amadeus, Montebelluna, 1986) e Acque del fondale (poesie, Milano, Jaca Book, 2003). E’ presente nell’Antologia Sicilia, poesie dei mille anni (Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia, 2001) e, con il poemetto Pietà del figlio, nell’Almanacco dello Specchio, Milano, Mondadori, 2008.