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L’idea dell’unità europea che sconfigge i totalitarismi

Al principio fu democrazia. Ma l’ombra dei totalitarismi si abbatté sull’Europa nel XX secolo fu inarrestabile oltre ogni previsione e, senza dubbio, favorita dal contesto storico nel quale essi presero via via forma. Non fu un caso se nazismo, fascismo e comunismo sfociarono tutti nel divenire una sola cosa, ovvero delle tirannie in grado di mettere in ginocchio prima di tutto il Vecchio Continente. Ma la storia di queste dittature parte da molto lontano e ha radici profondamente socio-economiche dietro. 

La storia d’Europa parte da molto lontano. Chi ha letto Federico Chabod e il suo “Storia dell’idea di Europa” sa perfettamente che il senso di comunità europea non parte dall’inizio dello scorso secolo, né durante i regni di Carlo V. La culla primordiale di quella che oggi è l’Europa è da ricercare nella Magna Grecia e le sue colonie. Da quel momento in poi si sviluppò un concetto di Europa che fu via via sempre determinante per la nascita di un senso di fratellanza che non rispondesse ai bisogni nazionalistici ma a quelli comunitari. Nel momento in cui l’Europa del ‘700 si accorse di poter ambire al primato sociale, oltre che culturale, lo “scambio” reciproco di costumi e tradizioni fu disarmante. Chabod parla pure di una “Res Publica Literaria”, proprio a prova di ciò che l’Europa, ormai non limitata ad un singolo stato nazionale o regno dominante sugli altri, bensì fatto da tante piccole realtà, coesisteva. Finché, però, il senso di prevalenza malevolo superò quello benevolo. Cominciarono a nascere i nazionalismi, ideologie che anche oggi conosciamo, segno che la storia cambia ma non stravolge, si modifica ma rimane ancorata a quelli che sono gli aspetti sociali dell’epoca in cui un movimento o un pensiero nasce. Nel recente passato, il XX secolo, l’idea che gli europei hanno del loro continente si stravolse. Non si parlava più di comunità ma di singoli. Gli italiani superiori in Libia, i tedeschi in Polonia, i russi nell’Europa (geografica) dell’est. Si cominciò ad usare la forza.

Dopo la Grande Guerra spopolarono fame e povertà e con esse il mancato supporto di istituzioni deboli o annichilite (vedasi Vittorio Emanuele III) che, con la speranza di poter dare nuovo lustro al proprio regno, cedevano la propria indipendenza e sovranità ad uomini forti. La macchina della morte prese il sopravvento in un mondo in frantumi che andava verso il secondo conflitto mondiale: antisemitismo, rigidi controlli e dittature, campi di sterminio o di “rieducazione” (Gulag sovietici e campi di stermino tedeschi). Veri e propri smantellamenti dei tessuti democratici (fascismo in primis) oltre che l’annullamento della diplomazia e ad essa la pace collegata. In comune i tre regimi ebbero sicuramente il rifiuto delle democrazie parlamentari oltre che il disprezzo per qualunque tipo di libertà. Inoltre, la storia deve essere lo strumento vigilare sul presente ed attenzione a quando parliamo a riforme costituzionali avventate o non consoni al nostro passato: tutte le repubbliche parlamentari più importanti (Spagna con re, Italia e Germania) sono tutte figlie di dittature che portarono non il singolo ma la comunità ad essere sovrana (il popolo attraverso il Parlamento), proprio come in Chabod veniva preventivato. La nascita dell’Unione Europea come istituzione cercò di essere l’ancora di salvezza di un dirompente dopoguerra che provocò solo morti e poche certezze. È l’istituzione alla quale oggi ci affidiamo e sulla quale lo scrittore aostano avrebbe scritto con molto piacere con trionfalismo.

Attenzione, però, a soffiare sui venti di guerra: oggi i tre totalitarismi sono scomparsi ma secondo la teoria del tutto si crea e nulla si distrugge, l’onda nazionalista e quella sempre più crescente sovranista che sta spopolando in Europa risulta sempre più macchiante nelle fibre degli Stati. L’avvento di internet e dei media odierni hanno cambiato il modo di intendere il mondo e basta un attimo per tagliare i ponti di un mondo collegato (vedasi il caso Cina). L’odio spopola, la paura cresce e la non meno importante crisi economica si riflette nel tessuto sociale delle nazioni. Il controllo che veniva effettuato ieri dalle grandi dittature oggi viene interpretato in un altro modo, segno che culture e società cambiano e che la storia, per quanto radicalizzata, non sempre resta la stessa. Sta a noi contrapporci alle tirannie rispettando e osservando le Carte Costituzionali, alle Istituzioni e al nostro senso di appartenenza ad esse.

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Mi chiamo Manuel De Maria, ho vent’anni e sono uno studente all’Università di Catania presso il dipartimento di Scienze Politiche e Sociali. La passione per il giornalismo comincia dagli anni del liceo, periodo in cui cominciai a scrivere per il giornale della scuola e, successivamente, per un progetto portato avanti dalla sezione "Scuola" del quotidiano nazionale "La Repubblica" di cui sono stato anche vincitore di un premio. Inoltre, la mia passione per la politica mi ha permesso di vedere il giornalismo con più pragmaticità e certamente con maggiore attenzione e dedizione, dandomi anche una spinta in più per impegnarmi al massimo anche a livello territoriale. Da qualche anno scrivo in proprio per il mio blog e adesso sono molto felice di poter fare parte della redazione della "Clessidra 2021"!
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