Sul francobollo commemorativo di Giovanni Verga nel centenario della morte

Il francobollo commemorativo di Giovanni Verga, realizzato dall’Istituto Poligrafico dello Stato nel centenario della morte, è un evento eccezionale per la Sicilia e i cultori della sua opera. Emesso dal ministero dello sviluppo economico, esso si propone di celebrare il grande scrittore catanese scomparso il 27 gennaio del 1922. La sua riproduzione, delimitata in basso dalla stilizzazione di un libro aperto, espone il ritratto di Verga, la cui opera – ora esposta nella Casa Museo Verga – venne confezionata dal pittore Amedeo Bianchi intorno al 1913.
Era questi nato a Badia Polesine (Rovigo) nel 1882 e morto a Venezia nel 1949, quindi quasi trentenne eseguì il ritratto del celebre romanziere durante il suo soggiorno a Catania, dove ebbe modo di conoscerlo. La data è tratta da un articolo che il giornalista e scrittore Saverio Fiducia (1878-1970) pubblicò nel fascicolo V della “Rivista del Comune di Catania” (settembre-ottobre 1931). Essa può considerarsi attendibile per la fervida memoria del bibliofilo catanese e per la precisione con cui seguiva eventi e personaggi della città etnea, considerata quella in cui «fa vetta per la capacità di tramutare la storia in leggenda e la leggenda in storia».
Riguardo a Verga, Saverio Fiducia precisò che egli non aveva mai posato per ritratti, ad eccezione che davanti all’obiettivo fotografico: «È tale parve anche al Bianchi, talché quando meravigliato il pittore gliene chiese la ragione, Verga rispose: “Già … ma non lo so neppure io. Vincendo il suo riserbo, Verga accettò di posare per lui un giorno del 1913”». Sulla scelta di Verga di farsi ritrarre da Amedeo Bianchi ci fu con ogni probabilità l’intervento di Silvia Reitano, sua amica e autrice di raccolte con dedica allo scrittore.
Giovanni Garra Agosta, cultore di studi verghiani e scopritore delle foto e dei negativi impressionati dello scrittore, colloca invece il ritratto nel 1912, ma al di là della data è interessante ricordare il Verga dallo sguardo severo e fiero, rigoroso nell’abbligliamento, «in un sapiente gioco di luci e ombre che fa emergere financo la fossetta nel mento». Un immagine che emerge anche nei ritratti di Roberto Rimini e Antonino Gandolfo, l’uno a penna e l’altro ad acquarello. Il ritratto di Gandolfo, collocato intorno al 1888, è considerato da Fiducia il più espressivo per «i lineamenti spirituali, al quale un nervoso ma sicuro virgolato dà, ora un risalto scultoreo ora una vellutata delicatezza di mezze tinte». Esso è «il più somigliante» all’immagine di Verga, che proprio l’anno successivo diede alle stampe una delle sue opere più famose, il «Mastro-don Gesualdo», che insieme a «I Malavoglia» (1881) costituisce l’architrave della sua opera narrativa.