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Livia De Stefani 1913-1991

Alla scoperta di una scrittrice siciliana

Sapevo dell’esistenza di Livia De Stefani, ma i suoi lavori nelle librerie erano irreperibili fino a qualche anno fa, quando fortunatamente delle case editrici di nicchia hanno ripubblicato La vigna di uve nere del 1953, Gli affatturati del 1955 e Viaggio di una sconosciuta del 1963. La scrittrice nata nel 1913 a Palermo di famiglia aristocratica, a diciassette anni sposa lo scultore Renato Signorini e va a vivere a Roma. La De Stefani, però, è come se avesse un conto in sospeso con la sua Sicilia, dove ambienta La vigna di uve nere, uno dei suoi primi romanzi, e due dei tre racconti che costituiscono Gli affatturati. La costante della scrittrice è quella di cogliere in ogni ambiente sociale la tragedia del vivere, le ossessioni che si consumano nelle famiglie e dentro la testa di ogni donna e uomo, e non solo della Sicilia. La scrittura ha un andamento piano ed asciutto, le parole distillate riescono a proiettare un mondo soffocante ed ancestrale intriso di sentimenti e risentimenti aggressivi. La De Stefani anticipa una nuova chiave di lettura della sfera privata, che anche il movimento delle donne farà emergere da lì a pochi anni: la famiglia come luogo di oppressione e di violenza, la solitudine degli uomini e delle donne, le relazioni morbose e tiranniche tra donne e uomini, e il rapporto tra genitori e figli non sempre improntato ad una radiosa e serena crescita. Non è il femminismo la chiave di lettura delle opere di Livia De Stefani ma, appunto, una dimensione esistenziale delle relazioni opprimenti insite nelle società di ogni tempo. Si pensi a Medea fino ai recenti drammi di omicidio dentro le famiglie: di figlie/figli verso il padre e la madre, di uomini verso le donne, di femminicidio. Al di là delle motivazioni sociali del gesto, esiste una radice umana interiore che induce al baratro, al punto di non ritorno. Livia De Stefani scrive, qualche anno dopo la guerra, che lasciò un paese povero disperato ed insicuro, dove alcune tragedie o modi di vivere potevano giustificarsi, ma sono le stesse tragedie che si ripetono fino ad oggi in una società più sicura e più avanzata economicamente. Non è una denunzia sociale quella della scrittrice ma una presa d’atto che le relazioni, i sentimenti sono attraversati da una complessità psicologica in cui la realtà immaginata, la paura degli altri, l’aggressività interiore, l’inadeguatezza delle identità sono una conseguenza delle ossessioni che ognuno di noi può covare, segnando il nostro agire. Le decisioni del protagonista in La vigna delle uve nere, infatti, non sono scontate, rispetto ai valori di un uomo di mafia, a cui la letteratura ci ha abituate/i. Casimiro Badalamenti è arrogante e prepotente ma riesce a intrattenere rapporti intimi con un’unica donna, Concetta, una ex prostituta, dall’aspetto massiccio. La sposa dopo avere messo al mondo figli suoi. I primi due, Rosaria e Nicola, prima affidati a terzi e poi da adolescenti sradicati per essere ricongiunti alla sua famiglia, consumano un incesto da lavare solo con la morte della ragazza per mano dello stesso padre, che del delitto incolpa il figlio per punirlo, anche, perché della vigna delle uve nere, vigna per cui Casimiro aveva tanto combattuto per ritornare ad esserne il proprietario, non ne vuole sapere. Nicola era stato cresciuto nella precedente famiglia con altri desideri, che non può soddisfare perché il padre aveva deciso diversamente. Tutto avviene in un ambiente assolato, duro ed immobile in cui la violenza è quasi un fatto naturale perché non civilizzato ed acculturato. Ma non è così. La psiche opprimente dei personaggi della De Stefani è anche dentro il mondo dell‘aristocrazia e della piccola borghesia, o degli emarginati della grande città. L’ossessione che il mondo esterno può infettare tutta la sua famiglia è quella del marchese di Fontesecca, dell’omonimo e primo racconto della raccolta Gli Affatturati. La paura delle malattie induce il marchese a segregare tutta la famiglia, compresa la giovane figlia Matilde che non conosce niente del mondo: il sole, la gente, gli animali, i treni e le barche, come grida un giorno al padre. Il rifiuto di un mondo sconosciuto avviene, ancora, in una famiglia della decadente aristocrazia, nel secondo racconto, Giuditta Malaspica, dove la madre si droga e droga i suoi figli per mantenere la serenità e la felicità della loro esistenza, il deus ex machina è rappresentato da una zia che tenta di deviare il corso delle loro esistenze. L’ultimo racconto, Gustavo Darò, è incentrato su un uomo che, seppure laureato, non è riuscito ad oltrepassare i confini relazionali della propria famiglia, soprattutto quelli con la madre. Conosciuta per caso la moglie di un collega di studi se ne innamora, mettendo in atto strategie che possano fare notare la sua figura di uomo. L’ossessione di Gustavo è, anche, quella di ritenere la donna responsabile della sua disperazione, ritenuta toppo libera nel condurre la vita ed anche un po’ dissipatrice. Gustavo pensa al suicidio che non mette in atto perché la notizia della sua morte non sarebbe apparsa sui giornali abitualmente letti da lei. Nel racconto Il viaggio di una sconosciuta, dell’omonima raccolta, La De Stefani si sposta verso un mondo emarginato. Una mattina presto una sconosciuta dall’Acqua Acetosa arriva al centro di Roma con una valigetta in mano dove ha riposto il corpo del suo bambino appena partorito, per strada nessuno se ne accorge, anzi viene infastidita dagli uomini. Lungo il suo viaggio fisico e mentale, ricaviamo che è una donna di servizio, sradicata dalla sua Sardegna, presso una famiglia romana, rimasta incinta e non sposata. Mentre rivanga ricordi lontani e recenti lungo il percorso incontra il risveglio della vita quotidiana, incontra un uomo che le offre un pranzo, la prende in giro per la valigetta che non la lascia mai di mano. Alla fine della giornata la sconosciuta forse dormiva quando raccolse la valigetta e l’asciugò della melma con un lembo di gonna. E quando discese nel fiume, con il suo bambino, per non lasciarlo, in quel buio. Dopo il lungo racconto del Il viaggio della sconosciuta, seguono 16 brevissimi racconti che valgono, ognuno di loro, un‘opera di centinaia di pagine. Icastica, precisa nell’ uso delle parole, Livia De Stefani lascia nella storia della letteratura immemorabili ed universali situazioni e personaggi alle prese con il proprio io, la propria identità con il mondo esterno. Rispetto al clima della Vigna delle uve nere, e degli Affatturati, i brevi racconti sembrano più leggeri nel narrare, sempre, la drammatica impossibilità di cambiare il corso delle proprie vite. Che non è l’immobilismo sociale dei personaggi del Verga, ma i desideri, le fissazioni e le paure che ognuna/o di noi proietta verso l’altra/o, vero il mondo in generale. Non esiste un deus ex machina di salvezza, perché se è il destino che determina le situazioni, le azioni sono apparentemente agite ed appartengono alle persone come una libera scelta. Invece è il fato, che in uno scarto di tempo, sfugge dal libero arbitrio, allignando ed imprigionando il destino di donne e uomini. Noretta, protagonista del racconto Il muro, immagina, sin dalla sua gioventù fino alla maturità, che un giovane intravisto dalla finestra fosse innamorata di lei, e quando erigono un muro davanti alla finestra, immagina ancora il suo amore sia ancora lì puntuale in attesa di fidanzarsi con lei. Candida,dello stesso omonimo racconto, non fa che ammassare ricchezze che non può godere per l’ossessione che gli altri la possono depredare.Il dramma del malinconico e silenzioso Ferdinando si racchiude nel ricordo quieto della nonna : Come potevo mai immaginare che il tormento segreto di mio nipote,quel tormento che lo faceva riservato e malinconico,a volte timido come una monaca, volte scontroso come un derelitto, fosse il tormento di non potere essere donna?….Si chiuse nella sua stanza fece quel che fece….I ferri li aveva bolliti durante la mia assenza…… Il dolore non dovette essere atroce come noi lo immaginiamo. Via via che si tagliava, Ferdinando si faceva le iniezioni che addormentano il dolore. La nonna spiega ai lettori che ha retto al gesto del nipote perché nata nel 1883, e non capisce il rifiuto del giovane a vivere i privilegi destinati agli uomini, ma pur senza comprendere, sa ancora perdonare ad occhi chiusi, come va fatto per ogni colpa, quando non è stata ragionata per nuocere agli altri. Il dramma personale e sociale del giovane, di una straordinaria attualità, esplode nella sua interezza e si ricompone senza avere raggiunto nessuna via d’uscita in quattro pagine di incisiva scrittura. Su questo binario continuano gli altri racconti della raccolta, segnati dallo stesso ritmo e dalla stessa profondità, in cui si raccontano donne dalla vita oppressa dai mariti ossessionati dalla tirchieria o dal senso di proprietà verso la moglie priva di una pur minima libertà personale. Non è in chiave femminista, ripeto, che la scrittrice descrive situazioni di coppia vissute oltre i limiti, ma è la banalità del male che attanaglia l’umanità. Il male è vissuto come normalità nel racconto Il ricordo molesto, in cui una giovane infermiera in ospedale assiste all’agonia di una anziana. Un medico, proprio perché l’anziana è agonizzante, utilizza il suo corpo per la pratica dei suoi giovani tirocinanti, come fosse già morta. Qualche critico, contemporaneo della scrittrice, tacciò la scrittura della De Stefani come manifestazioni stantie del neorealismo. Da semplice lettrice, però, penso che proprio quella scrittura stantia, dove la scelta delle parole, il periodare e la punteggiatura concorrono a rendere più palpabile le situazioni tragiche della vita delle donne e degli uomini, ci consegna una dimensione di una possibile realtà.

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Nunziatina Spatafora, nata a Giarre il 26 giugno del 1958, laureata in filosofia e Scienze delle Amministrazioni presso l'Università di Catania, lavora presso la Città Metropolitana di Catania di cui è presidente del Comitato Unico di Garanzia. Negli anni settanta, ottanta e novanta del secolo scorso, è stata fondatrice ed animatrice di associazioni femministe per i diritti delle donne e per l'esplicitarsi della cultura delle e sulle donne. I documenti di questa attività si trovano presso il suo archivio personale oppure presso il blog http://nunziatinaspatafora.blogspot.com È stata dirigente del Pci, Pds,Ds impegnata sui temi sociali ed di sviluppo locale. Dagli anni ottanta collaboratrice di giornali locali, per dieci anni iscritta all’albo dei pubblicisti e giornalisti, nel 2000 ha pubblicato un testo su Sciascia: le donne, la mafia presso la casa editrice di Catania CUECM. Ha tenuto diversi incontri nelle scuole del territorio sulla parità di genere.
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