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Giuseppe Insalaco, il Sindaco di Palermo che si oppose alla mafia

Un uomo politico spesso dimenticato e che merita di essere ricordato è Giuseppe Insalaco. Venne ucciso per mano mafiosa a Palermo il 12 gennaio 1988 e fu sindaco del capoluogo siciliano per tre mesi dal 17 aprile al 13 luglio del 1984. Quando venne assassinato aveva compiuto 46 anni. In quel frangente storico denunciò pubblicamente le collusioni tra politica e mafia e questo segnò la sua fine. E tal proposito venne ascoltato dalla commissione antimafia il 3 ottobre 1984, insieme al suo successore alla carica di primo cittadino Nello Martellucci. In quell’occasione con grande coraggio affermò davanti ai parlamentari.

“Non sono un democristiano pentito, ma sono venuto qui per dire quello che penso della DC palermitana, degli affari, dei grandi appalti, di Ciancimino, dei perversi giochi che mi hanno costretto alle dimissioni dopo appena tre mesi”. Bisogna riconoscere a Insalaco il disperato, coraggioso e generoso tentativo di rinnovare la politica amministrativa e nel suo breve periodo da sindaco decise di presentarsi sul luogo dell’eccidio di Pio La Torre e Rosario Di Salvo, in occasione dell’anniversario indossando la  fascia tricolore e facendo tappezzare la città con manifesti dell’amministrazione comunale. Per Palermo fu un fatto storico che sancì una frattura con il passato in cui gli amministratori non usavano mai la parola “mafia” e non denunciavano la mattanza sanguinaria delle guerre di cosa nostra. Ai primi di maggio nel 1984 partecipò a Roma ad una manifestazione   contro la mafia e la Camorra. Nell’attività di Sindaco concepì un progetto di cambiamento nell’ambito della Democrazia cristiana cominciando a mettere in discussione il sistema consolidato degli appalti in città. In quel momento era un sistema assolutamente intoccabile: sia la Lesca che, niente meno, dal 1938 gestiva la manutenzione strade e fogne e sia la Icem che, invece, dal 1969 gestiva l’illuminazione pubblica. Queste due imprese riuscivano ad ottenere facilmente la proroga dei servizi. E proprio sulle pressioni di Ciancimino e del suo entourage Insalaco parlò di “perversi giochi” confidandoli allo stesso Giovanni Falcone,indicando  i motivi che lo avevano costretto alle dimissioni dopo solo tre mesi. Dopo la sua deposizione alla Commissione Antimafia, mentre stava per andare a Roma, dove doveva rilasciare un’intervista alla Rai, insieme ad Abdon Antinovi, Presidente della stessa Commissione. E successe che la sua auto, posteggiata sotto casa sua nello stesso stabile di Giovanni Falcone, fu rubata e bruciata. Quello fu un chiaro avvertimento mafioso. Insalaco subì anche l’onta dell’arresto poiché un esposto anonimo e calunnioso l’accusavano di corruzione. Il 12 gennaio 1988 due ragazzi su una vespa si avvicinarono alla sua auto in via Cesareo e spararono cinque colpi di pistola colpendo a morte Insalaco. Prima di essere eliminato il sindaco dei “cento giorni”  lasciò in eredità alla sua città una cospicua documentazione,un memoriale con materiale scottante che vennero pubblicati da Saverio Lodato per L’Unità e Attilio Bolzoni per La Repubblica. Quel carteggio destò scandalo e Insalaco accusava senza mezzi termini e con durezza noti personaggi e diversi esponenti della DC palermitana nonché il sistema di gestione degli appalti e del potere cittadino. Il memoriale venne raccolto dal giudice Falcone che iniziò a comprendere meglio la realtà mafiosa e il grande magistrato parlò pubblicamente di “ibridi connubi”, di “gioco grande” e di quelle “menti raffinatissime” che poi descrisse in modo più evidente all’indomani del fallito attentato all’Addaura. “Gli omicidi Insalaco e Parisi … – disse Falcone- costituiscono l’eloquente conferma che gli antichi ibridi connubi fra la criminalità mafiosa e occulti centri di potere costituiscono tuttora nodi irrisolti con la conseguenza che, fino a quando non sarà fatta piena luce su moventi e mandanti dei nuovi come dei vecchi omicidi eccellenti, non si potranno fare molti passi avanti”.

Nel dicembre 2001 furono confermati in Corte di Cassazione gli ergastoli per Domenico Ganci e Domenico Guglielmini, riconosciuti responsabili dell’omicidio di Giuseppe Insalaco. Lo Stato ha onorato il sacrificio della vittima con il riconoscimento che viene concesso a favore dei suoi familiari costituitisi parte civile nel processo dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso.

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Rosario Sorace, nasce a Giarre il 13 maggio 1958;nel 1972, a 14 anni, inizia un intenso impegno politico e sociale. A soli 25 anni diventa segretario regionale dei giovani socialisti in Sicilia e dopo due anni, nel 1985, viene eletto al Consiglio Comunale di Giarre. Successivamente, viene eletto al Consiglio Provinciale di Catania dove svolge la carica di Assessore allo Sviluppo Economico. Nel 1991 viene eletto Segretario della Federazione Provinciale del PSI di Catania. Nel contempo consegue la laurea in Scienze Politiche presso l'Università degli Studi di Catania in cui oggi svolge il servizio in qualità di funzionario di Biblioteca del Dipartimento di Scienze Chimiche. È giornalista pubblicista. Collabora dal 2018 con i giornali on line IENE SICULE, SIKELIAN, IL CORRIERE DI SICILIA e AVANTI LIVE. È un grande di lettore di prosa e scrittore di poesie.
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